Una strada lunga, dritta. Ai lati della strada, una fitta vegetazione amazzonica. Verde, verdissima. Mille sfumature di verde tra foglie, rami, alberi, cespugli, boscaglia che selvaggia cerca di riguadagnarsi lo spazio rubatole dalla strada. Così tante tonalità di colori che presso alcune tribù indio della foresta amazzonica il linguaggio ha sviluppato addirittura 16 parole per descriverle.
Non stento a crederlo. Quasi tre ore di strada per raggiungere la prossima tappa. E, con la musica latina in sottofondo, il vento caldo che entra dai finestrini aperti, qualche nuvolone improvviso carico di pioggia e il sole che trapela, osservo questa immensità di vegetazione che ci circonda, cercando di guadare al di là della prima fila di alberi e piante.
Ma è tutto così fitto, intricato, che è praticamente impossibile. Una fitta giungla labirintica che reclama il suo dominio.
Immagino come dovesse essere stato, centinaia di anni fa. Quando c’erano solo le popolazioni native, quando poi sono giunti gli europei, quando sono iniziati i problemi. Mi immagino come dovesse essere farsi strada a fatica, senza fermarsi, in questa foresta così fitta, senza indicazioni, senza conoscenza del territorio. Camminare in una terra sconosciuta cercando qualcosa, ma non si sa cosa fosse.
Poi, incontri popoli che in quella terra ci vivono, che ti ostacolano, e li combatti.
Questa terra così magnifica era la casa di altri, che la storia ha decimato, confinato, ridimensionato. Ma è la storia di ogni angolo del mondo, a ben pensarci.
Migliaia di persone Maya sono state decimate dalle malattie introdotte in questa penisola dagli europei. Gli altri, sconfitti dalle armi da fuoco dei conquistadores, che marciavano e conquistavano, senza sosta.
A un certo punto, poi, tra campi improvvisati, lotte, esplorazioni, decidono di fermarsi. E costruiscono un villaggio, delle case, che poi diventeranno una cittadina. Una delle cittadine coloniali che sono giunte fino a oggi.
Valladolid è una di queste. Sorta sulle rovine dell’antico centro cerimoniale Zacì dei Maya, è conosciuta anche con il nome di “Sultana d’Oriente” per le tante chiese in stile coloniale di cui è disseminata che le conferiscono un aspetto elegante e unico.
Un paese tipico messicano, completamente diverso dalle città più turistiche della costa. Tranquillo, la vita scorre placida, ma non manca un po’ di traffico e di turismo. Si trova infatti in una posizione perfetta per visitare le vicine attrattive turistiche: i siti archeologici e i cenotes, tra i più belli della regione. Anche per questo abbiamo deciso di sceglierla come tappa iniziale del nostro viaggio in Yucatan. Purtroppo il tempo è tiranno e noi avevamo pochi giorni a disposizione, altrimenti avremmo potuto sostare qui un’altra notte per dirigerci a Rio Lagartos, sulla costa settentrionale della penisola, per poter ammirare la colonia di fenicotteri rosa che vive nella Reserva de la Biósfera Ría Lagartos.
Case basse, colorate, bianche, al centro più eleganti, in periferia più rade e rustiche.
Negozietti al centro della cittadina, raccolti attorno alla piazza centrale e al Parque Francisco Cantón Rosado, sovrastati dalla chiesa di San Servacio.
Donne di tutte le età nel tipico abito messicano: bianco con decori floreali sulla scollatura quadrata e sui bordi dell’abito.
Un cenote, al centro della città, tanti altri sparsi attorno al perimetro di Valladolid.
Una cena nel carinissimo ristorantino la Palpita de Los Tamales, https://www.tripadvisor.it/Restaurant_Review-g499453-d6420288-Reviews-La_Palapita_de_Los_Tamales-Valladolid_Yucatan_Peninsula.html
a base di tamales, e succo verde di aloe e cactus, delizioso e dissetante. Una passeggiata attorno al bellissimo Convento del Sisal, la Chiesa e Convento di San Bernardino della Sierra.
L’albergo dove ci sistemiamo era una Quinta Fructicola antica di più di 100 anni, un’hacienda, una tipica struttura originaria dell’Andalusia e diffusasi in tutto il sud america. Un’azienda agricola, in pratica, con grandi spazi e ampi edifici in stile coloniale adibiti a diverse mansioni.
Nel nostro caso, è stato ristrutturato tutto e adibito a residence e hotel. Pulito, elegante, immerso nel verde. Bellissimo, Ecotel Quinta Regia.
Passeggiando tra le strade di Valladolid, la prima città messicana che visito in vita mia, mi vengono in mente le parole usate da uno scrittore messicano per descrivere la storia della sua Macondo.
In Cent’anni di solitudine Gabriel Garcia Marquez narra le vicende che si svolgono in questo paese inventato, nel cuore della fitta vegetazione sudamericana/messicana. Se fosse esistito davvero, probabilmente oggi sarebbe simile a Valladolid.
"Macondo era allora un villaggio di venti case di argilla e di canna selvatica costruito sulla riva di un fiume dalle acque diafane che rovinavano per un letto di pietre levigate, bianche ed enormi come uova preistoriche. Il mondo era così recente, che molte cose erano prive di nome, e per citarle bisognava indicarle col dito”
"In pochi anni, Macondo fu un villaggio più ordinato e laborioso di quanti ne avessero conosciuto fin lì i suoi trecento abitanti. Era veramente un paese felice, dove nessuno aveva più di trent'anni e dove non era morto nessuno.”
"Lei gli parlava di Macondo come del borgo più luminoso e placido del mondo, e di una casa enorme, odorosa di origano, dove voleva vivere fino alla vecchiaia con un marito leale e due figli indomiti”.
Gabriel Garcia Marquez, "Cent'anni di solitudine"
Tutte le foto sono originali, scattate da me, con la mia Nikon d3100 e il mio Nexus 5
Bellissime foto!
Fotogenico il paesello :)
un bellissimo racconta
Grazie!
Vien voglia di andarci!
Lo consiglio sicuramente!
😀senz'altro da visitare
The text is not in Turkish. Please do not use the tr tag that is not in Turkish or not relevant to Turkey.
Sorry It was a mistake. I wrote Travel, but the t9 automatically corrected It!
Ciao Stella, bellissime foto. Anche a noi Valladolid è rimasta nel cuore.
Siamo rimasti 4 mesi in Messico e l'abbiamo girato in lungo e in largo trovandolo incantevole.
Se ti fa piacere vieni a leggere i post sul nostro blog che abbiamo dedicato al Messico.
A presto
Elisa & Luca