Caro Habermas,
ipocrisia è il volersi ad ogni costo distinguere dai grandi filosofi del passato e dai loro voluminosi, pallosi e inutili sistemi, finendo per dar vita ad un sistema altrettanto voluminoso, palloso e inutile, che non si differenzia in nulla dai primi se non per la falsa pretesa di esserne una critica attiva pur utilizzando i loro stessi stratagemmi: ampliamento o cambiamento del significato di alcuni termini cruciali e ridefinizione conseguente dei concetti di ragione, etica e pratica. Tutta la tua opera, caro Habermas, è soltanto una rivisitazione delle tre critiche di Kant in chiave moderna o post-moderna o, più verosimilmente, più affine al trend apparentemente non-leccaculo delle finte critiche di ogni epoca.
Distinguere la razionalità in razionalità cognitivo-strumentale e razionalità comunicativa è una stronzata perché facendolo si dichiara implicitamente che la razionalità è soltanto uno strumento e come ogni strumento può essere qualunque cosa, può essere utilizzata in qualunque modo. Il nodo cruciale non è mai stato, non è e non sarà mai la razionalità, qualunque significato le si dia. Il nodo cruciale è sempre e da sempre l'idea di essere umano della quale sono consapevoli coloro che utilizzano lo strumento, la razionalità!
La società politicamente attiva è sempre un limite autoimposto dagli individui che la costituiscono, è un limite proprio perché esclusivamente critica di qualcosa che c'è e mai costruttiva di qualcosa che si vuole che ci sia.
Un filosofo non sistematico e assolutamente non contagiato dall'illuminismo intriso delle invenzioni contabili di Newton, avrebbe letto nell'opera di Foucault una intuizione non sviluppata compiutamente e non una banale critica della ragione.
Il potere non è mai imposto da alcuni ad altri. Nella storia il potere non nasce mai per essere imposto ma nasce sempre come risposta alla necessità dei molti di essere guidati, controllati e anche ripresi e puniti, perché i molti hanno sempre avuto scarsa consapevolezza della loro idea superficiale dell'essere umano e, per forza di cose, di sé stessi. Le risposte sono state molteplici e variegate: religioni, mistiche, filosofie, politiche; come ogni cosa in ogni tipo di società sono poi divenute un potere in atto soltanto perché potevano esserlo e per le intenzioni degli individui che le proponevano e le sostenevano. Sono i singoli individui, anche quelli che poi protestano, a chiedere a qualcosa e a qualcuno di prendersi cura di loro e il potere in origine è sempre una risposta che affermandosi poi si impone perché alcuni individui colgono l'opportunità per attuare le le proprie intenzioni. Sono le intenzioni il vero nodo cruciale, le intenzioni di coloro che finiscono per subire il potere e le intenzione di coloro che alla fine impongono come un potere quel che era soltanto una risposta magari sbagliata ma legittima.
Da cosa nascono le intenzioni di ogni singolo individuo?
Buttando nel cesso le stronzate discendenti dal lavoro di Freud perché sono soltanto stronzate che si fondano sulla stessa idea superficiale di essere umano condivisa dall'intera umanità dalle sue origini, cosa resta?
Ha ancora senso dibattersi nel preistorico dualismo mente-corpo, io e inconscio, ragione e cuore?
Non è forse giunto il momento di ridimensionare l'unica abilità che distingue gli esseri umani dalle scimmie, cioè la capacità di usare oggetti prima e poi di costruirne appositamente innumerevoli sempre più complicati? Il progresso tecnico, tecnologico, è soltanto progresso tecnologico. Non apre le porte a niente e non presuppone niente, risponde semplicemente a delle necessità più o meno necessarie.
Parlando di filosofi da te criticati, caro Habermas, Popper, pur con tutti i suoi difetti specifici e la tendenza di tutti i filosofi a rimanere intrappolati nel loro proprio metodo e nelle loro stesse e sempre poche potenti intuizioni, ha affermato senza esitazioni e giustamente che tutto il sapere scientifico in realtà non è scientifico nel senso che il termine scientifico ha per tutti. Il come di un fenomeno e il perché dello stesso fenomeno non sono nel modo più assoluto la stessa cosa. La gravitazione universale di Newton è soltanto la riduzione a funzione del come del fenomeno che tratta ma la sua conseguenza, cioè la forza invisibile che agisce a distanza e istantaneamente (la gravità), è soltanto un perché falso che quasi tutti credono vero ancora oggi e al quale invece lo stesso Newton non è mai riuscito a credere.
Evitare le paludi nelle quali galleggiano l'empirismo e la metafisica attraverso una colossale stronzata come la filosofia del linguaggio è ancora ipocrisia, l'ipocrisia dei più pigri che nonostante la loro pigrizia non rinunciano a voler svelare la verità anche a costo di distorcere il significato stesso del termine verità. Un altro seme prezioso e formidabile è racchiuso nell'opera di Wittgenstein, un seme che nessuno ha coltivato con la giusta cura probabilmente per incapacità e per la fretta di dire qualcosa di nuovo e diverso per affermarsi. Il linguaggio non può dire tutto! a meno che la mente e il corpo non siano in definitiva soltanto due entità antagoniste e in lotta... ma forse anche qui è giunto il momento di valutare la possibilità che questa lotta possa essere in realtà soltanto la conseguenza della millenaria ostinata distinzione di corpo e mente (la vera uscita dall'eden, il primo passo verso la rigida specializzazione del tutto non-creativa perché creativa soltanto in parte e nel proprio ambito specifico!). Una filosofia del linguaggio ha senso soltanto se esiste un linguaggio condiviso, interiormente condiviso da ognuno degli individui coinvolti, che in altri termini è come affermare che tutti gli esseri umani sono uguali, che per tutti ogni parola ha lo stesso significato preciso, che tutti utilizzano gli stessi termini per descrivere le stesse sensazioni, le stesse intuizioni. Ma non è così! non potrà mai essere! a meno che non si riduca il linguaggio a una patetica rappresentazione superficiale e generica di ciò per descrivere il quale lo si usa. In entrambi i casi una filosofia del linguaggio si riduce sempre e inevitabilmente ad un compromesso, lo stesso compromesso che è l'etica fondata sulla condivisione. Una società similmente etica apparirebbe soltanto democratica nelle sue forme, soddisferebbe il palato dei suoi cittadini con un'illusione appariscente dietro la quale una qualsiasi risposta divenuta potere imposto continuerebbe ad agire non vista.
La critica costruttiva è un compromesso perché guarda sempre al passato, a quello che già è!
Soltanto la proposta di qualcos'altro è costruttiva perché non si preoccupa di salvare ciò che c'è cambiandolo nelle parti che non approva ma si occupa prima (preoccupa! è tempo che tutti inizino a usare il linguaggio per dire ciò che voglio dire agli altri e non per dire agli altri in modo gradevole ciò che interessa soltanto a loro) del come costruire ciò che ci sarà dopo.
L'albero marcio va sradicato e non recintato e puntellato.
Caro Habermas, ragione e razionalità sono due cose ben diverse nel linguaggio ma sono una sola e unica cosa, con il corpo, in ogni singolo individuo. Che cosa spinge un individuo ad utilizzare la ragione e la razionalità in modo piuttosto che in un altro? cosa spinge un individuo ad usare determinati termini per dire quel che vuole dire invece di usarne altri?
A Marx ha risposto lucidamente e in modo definitivo Heisemberg quando ha detto che una traiettoria esiste soltanto quando la si osserva. Vale sempre e per tutto. Si osserva sempre e soltanto il passato secondo il modo di guardare del presente dal quale lo si osserva, perciò il pretendere di prevedere come proseguirà una traiettoria basandosi sulla traiettoria che vediamo soltanto noi dal nostro presente e che vediamo così come la vediamo proprio perché la guardiamo dal nostro presente e non da un altro, è un'idiozia. L'opera di Marx è un esempio concreto di una risposta legittima e in buona fede che si è trasformata in potere imposto non per difetto dell'opera o per colpe del suo autore ma soltanto per superficialità e scarsa consapevolezza di ciò che è un essere umano, nel caso di Marx di ciò che era Marx per sé stesso. Ogni individuo può giungere al massimo soltanto a considerare gli altri dei pari. Che idea può avere degli altri l'individuo che ha un'idea sbagliata di sé?