Vivere in un paesino, mi aveva abituato a dare per scontate una serie di cose, quelle cose che altrove non prenderesti mai in considerazione come possibile problematica.
In un paesino, se vuoi fare una sala prove nel soggiorno di casa tua, il vicino difficilmente chiamerà la municipale, i carabinieri e l’esercito. E’ molto più probabile che te lo ritrovi fuori dalla porta, con una sedia, ad ascoltare. Sarà perché la percentuale di mura del soggiorno, condivise con le mura della camera da letto di uno sconosciuto, è molto minore che in città, ma in ogni caso l’atteggiamento verso l’intraprendenza altrui è meno ostile, e più partecipativo.
In un paesino, se esci a fare due passi, è normale salutare tanta gente, sia conoscenti che non. Se li conosci, puoi decidere di fermarti a scambiare quattro chiacchiere, se non li conosci non fa niente, perché sono sicuramente di zona, e quindi è giusto scambiarsi un buongiorno.
In un paesino, se stai tagliando l’erba in giardino, qualcuno del vicinato coglierà l’occasione per venirti a salutare, e a dispensarti consigli su come svolgere il lavoro al meglio. Potrebbe addirittura darti una mano, per puro piacere.
Ero cresciuto circondato da atteggiamenti del genere, non avevo mai preso in considerazione che altrove, queste piccole attenzioni dettate dal buon senso e dal quieto vivere, potessero essere diverse, o addirittura mancare.
Trasferitomi a Roma, però, mi resi conto immediatamente della diversità delle cose.
Ritmi frenetici e una quantità innumerevole di variabili che generano imprevisti, rendono le persone concentrate esclusivamente su loro stesse, e sulla continua ricerca di soluzioni a problemi.
Stress. Lo chiamano così.
Appartamenti minuscoli, vicinato eterogeneo, edilizia approssimativa, e ancora strade disastrate, mezzi pubblici stracolmi e perennemente in ritardo, guidatori incapaci e multe salate di ausiliari frustrati, rendono la vita di questa metropoli, un inferno.
Ogni mattina, un Romano si sveglia, e sa che, se fosse stato nelle giungla, al limite avrebbe dovuto rincorrere una gazzella. In città, invece, potrebbe succedere di tutto, perfino essere investito da una pantera (della Polizia).
Per arrivare in ufficio alle nove, punti la sveglia alle sei, trattabili.
Hai passato la nottata in bianco, perché il vicino di sopra ha deciso di dare un party, e grazie a una coibentazione del solaio ingegnerizzata spendendo il venti per cento dei soldi d’appalto in mattoni, e l’ottanta per cento in escort, nell’appartamento sottostante sembra di essere alla sfilata del due giugno, sovrastati da tutte le forze armate.
Svegliarsi alle sei non è predisponente al buon umore, e aver dormito poco e male, non aiuta. Ma facendo buon viso a cattivo gioco, con una buona dose di ottimismo, apri la finestra per far cambiare l’aria viziata della stanza da letto. A quell’ora, il vicino di sotto, orientale, sta già friggendo verdure, carni, pesce, latticini e scarponcini.
Prepari il tuo caffè respirando olio di palma pluriutilizzato, e decidi di chiudere la finestra preferendo l’aria viziata, al fritto. Calma, cerchi di tenere la calma.
Alle sette meno un quarto esci di casa. L’ufficio si trova a una decina di chilometri di distanza, servirebbero dieci minuti, ma siccome devi prendere due autobus e la metro, conviene uscire prima, perché un autobus potrebbe essere troppo pieno e dovresti aspettare il successivo, sotto la metro potrebbe essersi buttato qualcuno e l’hanno chiusa, e l’altro autobus potrebbe essere stato avvolto dalle fiamme.
Se non si verifica nessuna di queste ipotesi, sarà una giornata fortunata con solo il traffico, perciò in due ore dovresti farcela. Gli imprevisti, partendo due ore e mezza prima, sono prevedibili.
Poi c’è la mattina dello sciopero degli autisti, quella dello sciopero dei controllori, quella dello sciopero dei comandanti di volo, quella dello sciopero dei pastori tedeschi, e degli agricoltori sardi. Tutti scioperano a Roma.
Dopo venti minuti alla fermata, alle sette del mattino del 15 Dicembre, decidi di prendere la macchina.
Piove, e quando piove, il romano al volante si impanica e si blocca, si paralizza perché teme di affogare. Non ha nemmeno troppo torto, perché le strade iniziano ad assomigliare a piscine olimpioniche, con tanto di corsie.
Approfitti di un varco di venti metri tra te e l’auto successiva, per aumentare la velocità da cinque a venti chilometri orari, ma in quei venti metri prendi una buca, mimetizzata nell’acqua torbida di pioggia mista a terriccio del manto stradale (costruito dalla stessa ditta appaltatrice di casa tua, con le stesse percentuali di denaro spese), fatto di asfalto solubile, e spacchi gomma, cerchio in lega da 18” e braccetto.
Sono le otto, e incazzato come un’ape, chiami i vigili per denunciare l’incidente, che arrivano un’ora dopo, e ti multano per “riduzione della carreggiata”, visto che la macchina distrutta si è fermata in mezzo alla strada, intralciando il traffico che ora, oltre ad essere traffico più di prima, è ricco di effetti sonori in dolby surround, di urla e clacson.
Alle nove e mezza avverti in ufficio che non ce la fai ad arrivare, rinunciando a un ulteriore giorno di ferie, che ad Agosto non potrai più fare. Chiami il carro attrezzi, che per fortuna hai incluso nell’assicurazione low-cost stipulata qualche mese prima, e ti fai portare la macchina dal meccanico e dal vicino gommista.
Cinquecento euro in due.
Perché, dunque, non mi meraviglia che i dirimpettai non si salutino, che i vicini siano in guerra tra di loro sui sei lati di confine delle proprie mura, e che il buon senso e quieto vivere siano sostituiti dall’istinto di sopravvivenza?
Tra le cose che per me erano scontate, al paesino, c’era la certezza che un musicista potesse essere più o meno bravo, a seconda del talento o dell’esperienza, ma che in qualche modo studiasse o avesse studiato il proprio strumento, e soprattutto, ne possedeva almeno uno.
Un chitarrista ha la chitarra, un batterista ha la batteria, un pianista il pianoforte o al limite una tastiera. Scontato, anche per voi, no?
E invece no!
Tra le meraviglie che popolano una metropoli, infatti, le certezze variano, mutano, e si concretizzano non solo in incertezze, ma rischiano di diventare addirittura cose futili.
Mi spiego.
In un paesino, molte persone vivono in case piuttosto che in appartamenti, non c’è la frustrazione dell’arrecare disturbo al vicinato. Un musicista acquista uno strumento-si iscrive a un corso di musica-fa pratica quotidianamente.
In città, innanzitutto il disturbo del vicinato avviene anche tenendo la tv accesa a volume moderato, perciò si può fare pratica solo su strumenti che non emettono suono, ma in più c’è la percentuale, non trascurabile, dei fuorisede.
Un musicista nato e cresciuto a Roma, se non possiede uno spazio (un garage ad esempio) dove potersi rinchiudere a fare pratica senza arrecare disturbo, compra uno strumento-si iscrive a un corso di musica-non riesce a fare pratica, e abbandona il corso. Ma solo per essersi iscritto ad un corso, si ritiene musicista, e si sente in diritto di inserire o rispondere ad annunci per mettere su una band.
Il fuorisede, invece, paga quattrocento euro per una stanza di dodici metri quadrati, insieme ad altri quattro coinquilini. Seppure fosse bravino, e avesse la propria strumentazione, non avrebbe lo spazio dove metterla, e il mezzo di trasporto per raggiungere le prove. Ma è un musicista, e si sente in diritto di inserire o rispondere ad annunci per mettere su una band.
Morale della favola, tra chi ha studiato solo venti giorni, chi non ha la chitarra, chi ce l’ha al paese, chi ha studiato sulla classica e si fa prestare un’elettrica, chi bisogna andare a prendere a casa, chi non ha i soldi per pagare la sala prove, chi è un batterista ma avendo spazio solo per un pad da allenamento a casa, ha allenato solo le braccia e non le gambe, chi ha iniziato a studiare la chitarra ma poi era troppo difficile, e si è dato al basso… ci si ritrova di fronte alle situazioni più assurde, che ritenendo impossibili, non si possono immaginare e prevedere.
Se non esistessero i fiori, riusciresti a immaginarli? (cit. Bluvertigo)
Seconda regola per diventare un musicista di successo: comprare uno strumento, possibilmente non il più economico in commercio, ma soprattutto saperlo suonare BENE. Non benino, non un po', non "è parecchio che non suono". BENE
Tutta questa lunga introduzione, per arrivare a dire che dietro un annuncio, per quanto sembrasse sempre sincero, si nascondevano il novanta per cento delle volte, situazioni parecchio differenti da quelle prospettate.
Prendete, ad esempio, la tribute dei Red Hot.
Andai a fare la prova, o il provino se preferite, e scoprii solo in quella sede che erano solo in due: chitarrista e batterista.
Il cantante sarei dovuto essere io, e il bassista (che per fare i Red Hot Chili Peppers non è esattamente uno strumento secondario e facile da suonare), l’avrebbero cercato successivamente.
Il risultato fu una perdita di tempo, e una brutta delusione che fu da lezione, riguardo la sincerità e l’oggettività di chi scriveva gli annunci, ma soprattutto riguardo la propria sopravvalutazione in fase di inserimento o risposta all'annuncio.
Delle tre band che mi avevano contattato, due le avevo escluse a priori, e la terza non era ciò che prometteva.
Avrei dato quindi, una possibilità agli Ushas e al loro Rock psichedelico originale anni 70.
Mi incontrai in un pub con il loro chitarrista, Filippo.
Aveva dieci anni più di me, altissimo, con i capelli lunghissimi grigi, magrissimo, motociclista convinto in sella alla sua Harley Davidson.
Finalmente, per la prima volta in assoluto, di fronte a me, c’era una persona che riconoscevo come rocker.
Aveva con sè un CD, un millennio avanti rispetto a Daniele e la sua musicassetta, su cui erano registrate sei canzoni riprese durante le prove con un registratore digitale. Cose serie insomma.
Innanzitutto, però, ci tenne a spiegarmi gli obiettivi della band, le prerogative e le loro idee, che erano per lo più delle vere e proprie ideologie.
Il fondatore della band, era lui, e ci tenne a sottolinearlo fin da subito. Lui era il solo chitarrista, autore delle musiche, delle linee vocali, e dei testi di tutti i brani. In totale una decina, già pronti per essere eseguiti in pubblico.
Il nome, Ushas, era il nome di una divinità Indiana, la Dea dell’aurora.
Filippo infatti era Buddhista convinto e praticante, parecchio acculturato su tematiche filosofiche, sociologiche, umanistiche in generale. Studente dottorando in lingue e letterature orientali, aveva trasmesso integralmente questa passione all’interno della sua musica. Le canzoni, infatti, avevano testi prevalentemente riguardanti l’oriente e il Buddhismo, alternate qua e la da incursioni motociclistiche di lunghi viaggi su strade desolate.
Non c’è che dire, aveva tutte le carte in regola per far pendere le persone dalle proprie labbra, ed è esattamente quel che successe a me, prima ancora di ascoltare le canzoni.
L’atteggiamento sovversivo, la cultura inserita all’interno dell’arte, la possibilità di cimentarsi in qualcosa di nuovo, in una band che aveva a disposizione uno spazio personale adibito a sala prove (una cantina, ma aggiustata carina, molto carina), erano tutte le componenti che mi aspettavo da persone che intendevano la musica come la intendevo io: un impegno costante per un raggiungimento di un obiettivo soddisfacente.
Mi aveva già convinto, ma prima di tutto avrei voluto ascoltare il CD, più che altro perché viste le ultime vicende volevo togliermi tutti i dubbi.
L’ascoltai ovviamente insieme a Daniele, che dopo aver riflettuto accuratamente, disse:
-“questi so’ forti, Cì”-
È vero nel paese ci sono tante libertà, tanto spazio che a volte sottovalutiamo. Non esistono appartamenti ma case singole con giardini immensi, ettari e ettari di verde. E tra vicini si sopporta. Calcola che il mio vicino suona dalla mattina alla sera.. chitarra?? No. Pianoforte?? No. Fisarmonica?? Manco. Il dubot, cavolo lo strumento più odioso del mondo. E ce lo sentiamo, che tocca fa.
Ma torniamo a noi, Roma è veramente stressante io ho l’ansia quando ci sto, nessuno ha mai tempo. Se ti fermi un secondo o hai un attimo di indecisione sulla strada da prendere ti suonano in mille !!!
Cavolo i Red Hot niente allora e vabbè.. bella la citazione dei Bluvertigo! 😎
Ma se non avesse suonato il dubot, che credo si chiami dù bott (due botte, perché dovrebbe avere solo due tasti come basso????) mi sarei stupito parecchio, visto che è l'organetto tipico abruzzese!!!!
Basta che non mette un annuncio per tirare su una band, lascialo pure suonare!! 😂
Mah ho cercato anche su google anche per vedere come cavolo si scriveva (😂)ma a parte questo si suona in libertà ma ha tutto il mio fastidio!!!!!!!!se fa una band io lo boicotto!!!
Bellissima descrizione di Roma e delle sue problematiche... Certo, noi romani stiamo sempre a lamentarci ma basta una settimana fuori per aver nostalgia del traffico eh.
E comunque l'avevo detto che i RHCP erano troppo mainstream.
Sicuramente una descrizione un pochino sottolineata, ma ogni singolo fattore l'ho sentito narrare più di una volta, anche l'autobus in fiamme.
Lo so, lo so, il romano che va in vacanza una settimana, va a controllare le colonie😉
Red hot, decisamente troppo mainstream dai, ci avevi preso!
Bel post! Grazie! 👍
Grazie a te!!!
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