BARCELONA
“Non capisco. Ha tutta l'aria della Varicella, ma queste bollicine hanno un aspetto strano.” - disse il dottore.
La sera del mio arrivo a Barcellona, avevo qualche linea di febbre, e delle brutte bolle un po’ dappertutto. I professori, preoccupati, fecero arrivare un dottore, che sancì quanto detto all’inizio.
Ma io avevo barato.
La Varicella è una malattia esantematica, estremamente contagiosa, causata da un virus della stessa famiglia dell'herpes, che si trasmette per via aerea o per contatto. Si manifesta sotto forma di lesioni, che guariscono in qualche giorno. Quando queste sono ricoperte da una crosta, non c'è più pericolo di contagio. Ad oggi, fa parte dei vaccini da fare obbligatoriamente ai neonati. Per quelli della mia generazione, il vaccino non era obbligatorio in gioventù, ed era pratica comune che le mamme mandassero a giocare i figli sani insieme ai bimbi malati, per fargli prendere il prima possibile tutte e sette le malattie esantematiche.
A diciotto anni, chi in un modo o chi in un altro, quasi tutti avevano avuto la varicella. Tutti tranne me.
Prendere una malattia da bambini in età adulta, in coincidenza con il primo giorno di gita scolastica, sapeva di beffa. Se mi avessero dichiarato infetto, avrei dovuto passare la mia vacanza a letto, o peggio ancora in ospedale. Si parlava addirittura di uno scenario apocalittico, in cui non sarei potuto salire su un aereo e tornare in patria per quaranta giorni (quarantena, vi dice niente?). Prima che qualcosa andasse storto, quindi, da bravo adolescente esperto, mi occupai dei miei brufoli. Talmente bene che il dottore ipotizzò che potesse essere una intossicazione alimentare.
Riuscii quindi a risparmiarmi il peggio, con un aspetto poco rassicurante, ma a quell'età non è difficile mimetizzarsi tra adolescenti brufolosi.
Tutto sommato, fingendo di stare meglio, riuscii anche a divertirmi in quei cinque giorni.
Rispetto alle aspettative, però, la Varicella aveva condizionato pesantemente quella che doveva essere una bella esperienza.
Che fosse un’avvisaglia di qualcosa che stava cambiando?
LA PATENTE
“Tu guidi davvero così?” - mi disse l'istruttore.
Alla prima lezione di guida, insieme al proprietario dell'autoscuola, ero seduto con la schiena perfettamente aderente lo schienale, le mani alle dieci e dieci, gli specchietti regolati al millimetro, la cintura ben allacciata, e guidavo come uno a cui avevano ingessato tutti e quattro gli arti.
A dire la verità, è così che si dovrebbe guidare.
“La verità? No.” - risposi.
“Ok, allora mi fai vedere come guidi davvero?” – mi domandò
Iniziai allora a guidare con più disinvoltura.
Non avevo mai guidato per strada, ma avevo passato intere ore a fare avanti e indietro per il vialetto di casa.
Prima-seconda-retromarcia-parcheggio a esse.
Ero perfettamente a mio agio al volante, e molto prudente.
Percorremmo alcune centinaia di metri, e l’istruttore mi disse:
-“Fermati al bar, prendiamoci un caffè, non farmi perdere tempo”-
Ero orgoglioso di quel risultato, e mentre prendevamo il caffè mi disse:
-“visto che sai guidare, senza che lasciamo passare un mese inutilmente, farai l'esame con quelli della motorizzazione, lunedi prossimo. Così ci sbrighiamo entrambi”.-
Da lì a pochi giorni avrei avuto la patente!
L’esame, non si sarebbe svolto nel mio paese, ma nel capoluogo di provincia, il lunedi successivo alle quattordici. Li, ad attenderci, trovammo l’esaminatrice ed altri pochi esaminandi.
Al mio turno, mi accomodai in macchina. L’istruttore salì sul sedile passeggero, e l’esaminatrice sul sedile posteriore.
Eravamo tutti rilassati.
In una mezz’ora, mi fece andare ovunque. Stradine e parcheggi in una città che quasi non conoscevo, fino al centro storico. Lì, su una strada decisamente principale, con il sole contro che rendeva la superficie dell’asfalto una specchiera, un furgone spuntò alla mia destra, in prossimità di un incrocio, e si fermò per farmi passare. Il tutto a una velocità generale di venti all'ora.
-“Ehi, ma non si è fermato?”– mi giunse dal retro la voce dell’esaminatrice.
-“Chi?” – chiesi io.
-“Lei! All’incrocio doveva dare la precedenza” – mi disse con tono alterato, ma senza alzare la voce.
-“Ma, ma, il furgone era fermo” – farfugliai, non avendo percepito alcun pericolo.
-“Non significa niente, si sarebbe dovuto fermare ugualmente. Mi dispiace, ma deve ripetere l’esame”
L’istruttore, basito, cercò di intervenire, dicendo che anche secondo lui il furgone si era fermato per farci passare.
Niente, quella simpatica signora, non volle sentire ragioni.
Tornammo al punto di partenza, e avanti un altro.
Io la presi male, malissimo. Mi avevano bocciato alla guida.
Avevo sentito di bocciati alla prova scritta, il quiz, poteva succedere.
Ma alla guida, non avevo mai sentito dire di qualcuno bocciato.
Fino a quel momento.
LA MATURITA'
Un mese dopo, sostenni nuovamente l'esame di guida, e fui promosso senza altri intoppi.
Avevo la mia patente, di cartoncino rosa. Finalmente!
La sera stessa, mio padre mi lasciò la macchina, e portai una mia amica a fare un giro.
Avere la macchina cambia radicalmente le opportunità per un adolescente.
Eravamo ormai a ridosso degli esami di maturità, e ne' professori ne' alunni avevano chiare le nuove modalità.
Avremmo sostenuto uno scritto di Italiano, uno scritto di Matematica, e una terza prova a risposta multipla o breve, su tutte le materie.
Per l'orale, invece, avremmo dovuto sceglierci un periodo storico, e strutturare un percorso multidisciplinare che descrivesse gli avvenimenti di quel periodo.
La cosa buona, era che i professori della commissione erano quasi tutti esterni, perciò neutrali.
La cosa pessima, era che i professori della commissione erano quasi tutti esterni, perciò difficilmente corruttibili.
Eravamo una classe disomogenea, con un sacco di gruppetti e fazioni, ma per gli esami di maturità si deposero le armi a favore della cooperazione.
Ognuno era disposto a collaborare per portare a casa il risultato, e si sarebbe messo al servizio della classe, perchè c'era un'unica grande paura comune: lo scritto di Matematica.
Tolti tre o quattro secchioni, infatti, nessuno sarebbe stato in grado di risolverne i quesiti.
Eravamo tutti alunni del Liceo Scientifico, ed eravamo tutti ugualmente scarsi in Matematica. Tutti tranne quei tre o quattro secchioni.
Uno di questi, il più ragionevole, era disposto a passarci il compito, a patto che se si fosse scatenato qualche scenario drammatico, lui sarebbe stato scagionato all'unanimità. Era un piccolo prezzo da pagare, che accettammo di buon grado.
Il mio dovere, era prendere posto dietro di lui, copiare il compito e smistarlo alla classe.
Il mio ruolo era importante quanto il suo, anzi forse di più.
Il presidente di commissione, il giorno dello scritto incriminato, provò a tenermi a bada, ma si rese conto che avremmo tentato il tutto per tutto, pur di passare quel compito.
Tra una battuta e un occhio chiuso, un richiamo più serioso e una finta occhiata al giornale, l’ultima ora di esame la passai praticamente seduto vicino al tizio, a copiare il compito da girare al resto della classe.
Non prendete esempio, non si fa
Andò bene, e il presidente di commissione si rassegnò al fatto che non sarebbe potuta andare altrimenti.
Per l’orale, nei giorni precedenti al mio turno, avevo cercato di tessere delle trame, buttandola sulla simpatia, cercando di spingere affinchè mi chiedessero ciò che gli proponevo, e basta.
Il mio percorso mutidisciplinare, abbracciava i primi anni del novecento. Kant, Pirandello, La Prima Guerra Mondiale, varie ed eventuali del periodo.
Il percorso non era casuale, ma obbligato, perchè a Storia, e Filosofia io sapevo solo quello, ed ero stato presentato con DIECI e NOVE.
La professoressa della commissione, non avrebbe dovuto chiedermi altro: sarebbe stato un disastro.
Ah, ovviamente, delle mie scelte mi ero limitato a conoscere solo lo stretto necessario, non tutto lo scibile.
Prendiamo Pirandello, ad esempio: avevo puntato su il fu Mattia Pascal e basta.
Lo stesso feci per le altre materie.
Arrivò il giorno del mio esame orale.
Mi accolse il presidente di commissione, professore di Italiano. Era sorridente, aveva avuto modo di conoscere il mio modo di fare rumoroso nei giorni precedenti, e mi sembrava bendisposto.
Per prima cosa, era necessario identificarsi: tirai fuori con orgoglio la tanto sudata patente.
-“Ah, lei come documento mostra la patente. Bravo, chi ha scritto la patente?”-
Era una domanda? Cosa mi stava chiedendo? Feci appello a tutta la psicologia di cui ero a conoscenza.
Se non avessi risposto, avremmo iniziato malissimo. Se avessi risposto male, avremmo iniziato malissimo.
Ma non conoscendo la risposta, l’unica soluzione possibile, era improvvisare.
-“L’istruttore dell’autoscuola, vede c’è anche la sua firma” – risposi aggiungendo uno scintillante sorriso.
-“Ah ah ah. Lei ha sempre voglia di scherzare” – rispose ridacchiando. Lui e gli altri membri, sembravano divertiti.
Ora mi avrebbe chiesto:
“Vabbè, mi dica come vogliamo iniziare”, avrei fatto il mio discorso senza essere interrotto, e saremmo andati tutti a casa soddisfatti.
Invece non mollò la presa, e insistette.
-“Ma io non parlo di questa patente. Parlo dell’opera la patente. Chi l’ha scritta?”.-
Iniziai a guardarlo con due occhioni degni di una foca monaca, che implorava pietà, perché era evidente che non lo sapessi, no?
Ma non mollò.
-“Forza, non è difficile. Adattava le sue novelle al teatro”-
Lo voleva sapere sul serio, e prima che diventasse un bagno di sangue, era il caso che facessi qualcosa. Risposi una cosa a caso, sperando nella fortuna.
-“Manzoni?”-
La sua espressione si fece seria, e contrariata. E tagliò dicendo:
-“Ok, vedo che non lo sa. Pirandello, ha scritto la patente. Non soffermiamoci, che è meglio. Mi dica allora con che cosa vuole iniziare: chi è l’autore che ha portato?”-
Al suo Pirandello, io ero ormai morto internamente.
Di me era rimasto solo l’involucro in pelle umana, con l’anima infranta in mille pezzi all'interno, perché l’autore che mi stavo accingendo ad esporre, quello di cui virtualmente sapevo di più, era:
“Pirandello” - risposi, abbassando lo sguardo in segno di resa.
Per più di un’ora dovetti cercare di arrampicarmi su quanti più specchi possibile.
Quella che doveva essere una routine, una formalità, si trasformò in una tortura infinita.
Mi fece qualche domanda perfino l'insegnante di Educazione Fisica.
Il mio incipit, aveva sortito il duplice effetto di indispettire i membri della commissione, che vollero perciò interrogarmi seriamente, e farmi risultare un’idiota alle orecchie di chi alla domanda “chi ha scritto la patente” aveva solo percepito “l’istruttore”, senza il ragionamento salvavita che c’era dietro.
Conobbi una ragazza, mesi dopo.
Quando le dissi che mi ero appena diplomato al Liceo Scientifico, mi chiese, divertita:
-“ma è vero che agli esami di quest’anno, a un ragazzo hanno chiesto chi ha scritto la patente, e lui ha risposto l’istruttore?”-
-“Si, è vero. Sono io”. Risposi, argomentando il gesto.
Ma se era giunta questa voce a lei, frequentante il Liceo Classico, evidentemente la barzelletta aveva già assunto i contorni di una leggenda.
FRATELLANZA
Era finita, contava solo quello.
L’esame disastroso, portò nelle mie tasche un rispettabile settantanove/centesimi.
Risultato per niente apprezzato a casa mia. Per tutta la mia famiglia, avrei dovuto prendere almeno centocinquanta/centesimi, per dimostrare di essere stato bravo.
Non mi interessava più.
Finalmente era finito il mio rapporto con il Francese, con la Filosofia, la Storia, ma soprattutto sarebbe finito per sempre il rapporto con la Matematica.
Avevo cercato di non affondare per tutta la durata del Liceo, ma il programma dell’ultimo anno mi aveva sfiancato: non ci avevo capito nulla di niente. Limiti, integrali, studi di funzioni. Che mal di testa!
La matematica non faceva per me, perciò decisi di eliminarla per sempre dalla mia vita, e a Settembre mi sarei iscritto alla facoltà di Psicologia.
Sarei stato alla larga dai numeri, e perché no, avrei frequentato finalmente un ambiente ricco di ragazze, dopo cinque anni di liceo a forte predominanza maschile.
Mi sembrava un’ottima idea.
Nell'attesa, c'era la stagione con mio fratello. Eravamo diventati una coppia fissa, la voce si era sparsa, e molta gente ci voleva per i propri eventi privati.
Si stava spargendo però anche un’altra voce.
Un’altra coppia di fratelli, di un paese vicino, era entrata prepotentemente nel business della musica da intrattenimento.
Il più grande dei due suonava, per modo di dire, la tastiera, e soprattutto cantava.
Per modo di dire, perché le tastiere in quel periodo iniziavano a essere dei mostri di elettronica, in grado di far suonare perfettamente delle basi midi con suoni estremamente credibili. E ad un ascoltatore medio, che tu sia un genio della musica, o abbia un arnese che suona da solo, poco importa, basta che si balla.
Il più piccolo, invece, mio coetaneo, era un sassofonista, come me.
A differenza mia, però, lui era bravo.
Amava il suo strumento, lo suonava benissimo e cercava di metterlo in mostra il più possibile. I fratelli, infatti, guadagnarono molti consensi perché questo giovane sassofonista riusciva ad eseguire un brano che si chiama Tico Tico di Paco de Lucia. E ogni volta che la suonava, lasciava tutti a bocca aperta.
E ci rimasi anche io, la prima volta che mi capitò di vederli suonare.
Il loro modo moderno di fare intrattenimento, con pezzi funambolici, il cantante molto presente, e la tastiera spaziale, otteneva parecchi consensi.
Provai a studiare quel brano, provammo con mio Fabio a metterla nel repertorio, e fu una totale sconfitta.
Ne parlammo anche con il maestro Franco, che disse:
-"con le lezioni private non potrai migliorare più di così, dovresti decidere cosa vuoi fare della tua vita, e magari prepararti all’esame per il Conservatorio. E’ l’unico modo che hai per migliorare”.-
Non avevo alcuna intenzione di andare al Conservatorio, sarei andato all’Università.
Continuare a studiare il sax, non aveva più senso. Le lezioni col maestro Franco potevano terminare lì.
La mia resa, anche con il Sax era ormai compiuta.
Io e Fabio avremmo continuato a suonare in giro, ma la nuova coppia di fratelli avrebbe preso presto il monopolio della zona, preso il nostro posto.
CAMPIONE?
In tutto questo declino, potevo almeno dedicarmi agli allenamenti, in maniera seria e continuativa. Dopo l’inaspettata vittoria del campionato regionale, il mio obiettivo era prepararmi al meglio per fare una bella figura ai Nazionali.
Di cui, però, non sapevo nulla.
Le notizie, infatti, arrivavano saltuariamente ed esclusivamente dai responsabili della società. E questi, da un po’ di tempo erano latitanti.
Provavo spesso a chiedere al mio allenatore, quando saremmo dovuti andare a Ferrara, e lui mi rispondeva sempre la stessa cosa:
-“ho parlato con Carlo, ma dice che ancora non sa nulla”-
Era ormai Luglio inoltrato, ed erano passati quattro mesi dai Regionali. Perché ancora non si sapeva niente?
La risposta arrivò qualche giorno dopo.
Mi stavo allenando, e vidi il responsabile della società apparire in lontananza. Ero sicuro che sarebbe venuto a dirmi tutti i dettagli, era infatti diretto verso di me. E disse:
-“abbiamo fatto un po’ di conti, anche stringendo il più possibile purtroppo non ci sono i fondi per portarti a Ferrara. L’iscrizione, il viaggio e tutto il resto. Non ce lo possiamo permettere, mi dispiace”.
Io rimasi in silenzio qualche secondo, poi chiesi:
-“non stai dicendo sul serio, vero? E’ uno scherzo”-
E lui, mi rispose che no, non stava scherzando.
A quel punto, viola di rabbia, iniziai a urlargli contro:
-“io mi spacco la schiena cinque volte a settimana, tre ore al giorno, buttando il sangue su questa pista, rappresentando i colori della tua società e tu è tutto quello che sai dire? Sono trenta anni che esistete e nessuno ha mai fatto risultato, e una volta che c’è un risultato mi trattate così?”
Seppe dire solo “mi dispiace, non ci possiamo fare nulla”.
Presi le mie cose, e andai via.
Non rimisi mai più piede in quel campo sportivo, e su una pista di atletica.
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Ciao
Che bella idea il tuo articolo, una raccolta di storie tristi, dai ma a distanza di anni anche divertenti fanno sorridere...
ehehe si, a distanza di anni in effetti come si suol dire "ci si ride su"!
Grazie!!
potrei avviare una sfida... Che dici faccio un post di risposta?
Ma perché no...😉
Dai sarà divertente. A breve arriva.
Che ridere, a tratti mi hai un po' ricordato la mia adolescenza, ho qualche episodio simile al tuo... Poi si cresce e si passa sopra a tutto, almeno questo è quello che si dice; però in un angolino della nostra mente rimane quella leggera malinconia legata a questi episodi.
Quella che potremmo definire tranquillamente "mainagioia" 😂
😂 mi hai fatto sganasciare dalle risate! Povero surya! Una catastrofe dovunque... ma l'ultima è la peggiore...
tutto merito delle foto, dì la verità!! :D
Anche io ho fatto il liceo scientifico, ma ero, come dire, un po' ribelle allora... di quelle che non si facevano scappare una manifestazione o un solo giorno di occupazione... alla fine, dopo ben SEI anni di liceo (tono fantozziano) sono "degnamente" uscita con 75
E poi mi sono iscritta a Psicologia...
😂😂😂
Psicologia?? Non dovrai assolutamente perderti la prossima puntata allora.
(quelle due le hai prese su brazzers vero?)
No in realtà l ho scattata io a due mie compagne, Barby e Mary 😜
Ah scusa, non avevo visto l'elenco telefonico della vostra città.
Ma da voi non si usavano le pagine gialle con l inserto di Statistica e Analisi dei consumi?
Mmm no, però molta gente nelle pagine gialle nascondeva le ore.
Mmm no, però molta gente nelle pagine gialle nascondeva le ore.
te l'ho sempre detto che devi leggere di più!
Più con l'accento o con l'apostrofo?
Va beh ma che sfortuna scusa. Troppa tutta insieme e te lo dico io che ho avuto i miei momenti storici. Mi hai battuta, com'è possibile?
Manco la sapevo portare io la macchina quando ho fatto l'esame, era lei che portava me però ero attentissima a qualsiasi cosa, puntavo su quello e a qualche grazia.
La prova di matematica ci fu passata da un ragazzo di un'altra classe e non sono neanche sicura che fosse matematica poi. Cose strane, molto strane.
Adesso devi per forza risalire, dopo una discesa così profonda!!!
sei pronta a fare una scommessa? scommetteresti sulla risalita??
Le scommesse sono pericolose ( soprattutto se l’altro tace).
Comunque SI, in questo caso dico di si, ci deve essere una risalita, per forza di cose.
chi tace, acconsente. Chi dice si, acconsente ;)
Chi dice no, pure.
ah, si. a volte acconsente pure chi dice no, vero!