Vorrei raccontarvi una storia. E' una storia che parla di scuola e di guerra, di ieri e di oggi.
Come sapete, sono un'insegnante e molti anni fa, andando al lavoro in una mattina invernale, ero assorta nei miei pensieri, mentre decine di ragazzi entravano in quello stesso portone e salivano quelle stesse scale, al lato delle quali una grande epigrafe ricorda i nomi degli alunni dello storico Liceo caduti nella Grande Guerra.
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Pensavo che, a differenza di me che ho frequentato un Istituto di quartiere come tanti della città, gli studenti del Tasso entrano ed escono ogni giorno da un'istituzione carica di Storia e di prestigio ma, come tutti i ragazzi del mondo, sentono semplicemente di andare "a scuola". La scuola è il luogo dove per molti anni della nostra vita, insieme alla casa familiare, abitiamo il nostro quotidiano ed è lì che passiamo gran parte del nostro tempo e conosciamo quelli che spesso diventano gli amici di tutta un'esistenza. Quindi per tutti quei ragazzi vocianti, coi loro zaini in spalla, entrare al Tasso era, ed è sempre, entrare in un luogo familiare, come per me e come per ognuno di voi che abbia voglia di pensare un attimo alla propria adolescenza. Riflettei anche, forse per la prima volta, sul fatto che i nomi di quei caduti erano quelli di alunni come i miei e che soltanto per una buona sorte immeritata non era toccato a me ma a qualche mio collega remoto piangere i Giovanni, i Saverio, i Flavio, i Mario di cui sono piene le aule in ogni tempo. Ragazzini, altro che soldati.
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Allo stesso modo, nell’anno scolastico 1937-1938 – mi dissi – saranno entrati qui dentro anche quegli studenti che di lì a pochi mesi si videro vietare la frequentazione delle scuole “ariane” del Regno dall’infamia delle leggi razziste che, guarda caso, iniziarono a colpire la comunità ebraica nel settembre, proprio dalla scuola, proprio dai più giovani. E mentre salivo quelle scale mi chiesi che cosa avrei fatto se fosse capitato a me, ai miei studenti, che potere avrei avuto per proteggerli. Nessuno, naturalmente.
Noi gente di scuola sappiamo che tutto quello che succede fuori, le differenze sociali e culturali e tutto il lento fiume della vita, dentro le mura delle aule, tra carte geografiche e lavagne, si scolora e si attutisce: i teoremi, i paradigmi dei verbi greci, la poesia e le formule chimiche hanno un potere magico, forzandoli a deviare il corso dei pensieri li affaticano e insieme li proteggono. Ma quando è la Storia, quando sono le catastrofi a bussare al portone, non c’è bidello né insegnante in grado di chiuderlo. Con questo magone nel cuore, formulai nei giorni successivi un’idea che sottoposi al Preside: perché non ricercare nei documenti d’archivio i nomi di quei ragazzi cacciati via da scuola in modo così ignobile?
Nacque così un progetto che durò diversi anni e che vide impegnati alcuni insegnanti e diversi studenti, di religione ebraica e non. Per anni spulciammo con emozione indicibile registri e faldoni, scoprendo fin dall’inizio che, mentre delle vicende analoghe del personale docente era rimasta traccia amministrativa nei fascicoli personali, dell’espulsione degli alunni non c’era nessun segno tangibile.
L’unica via, dunque, era procedere confrontando i registri dei promossi con quelli degli iscritti all’anno successivo: un lavoro improbo, in cui bisognava distinguere tra tanti chi aveva semplicemente cambiato Istituto, da chi aveva lasciato gli studi o la città, da quelli, infine, che ne erano stati allontanati. Se pure si poteva sperare che qualcuno dei ragazzi ebrei di quegli anni fosse sfuggito ai controlli in cittadine di provincia, in scuole periferiche, così non poteva essere in una scuola come il Tasso, il cui Preside, fascistissimo e molto vicino al Duce, ospitava orgoglioso nientemeno che i rampolli di casa Mussolini.
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In questa ricerca fummo affiancati da alcuni esponenti della comunità ebraica romana e dall’Archivio di Stato e riuscimmo a stilare una lista di nomi. A questo punto, era il 2007, cercammo di entrare in contatto con le persone che avevamo individuato, poiché volevamo invitarle a tornare al Tasso, a tornare “a scuola”. Moltissimi tuttavia non c’erano più e diversi al telefono, direttamente o tramite i loro figli, declinarono l’invito spiegando che i settant’anni intercorsi non erano sufficienti a lenire il dolore di quel ricordo. Riuscimmo però a convincere col nostro entusiasmo un gruppo di ex studenti, una decina di vecchietti che sedettero commossi nella prima fila dell’Aula Magna, nei posti che avevamo riservato loro, davanti al Sindaco Veltroni e alle altre autorità cittadine. Parlarono di quei giorni, dello strappo terribile che fu lasciare le loro classi e i loro compagni, della fatica di inventarsi una scuola dal nulla, dall’oggi al domani, della perdita di familiari e amici nei rastrellamenti successivi dei tedeschi, del crollo progressivo della vita quotidiana. Alla fine di quella mattinata piena di emozioni, in cui fu anche inaugurata una nuova epigrafe in ricordo dei fatti, ci alzammo tutti in piedi, gli studenti di allora e quelli attuali, mentre veniva fatto l’appello di quei cinquantacinque ragazzi lontani.
Io lessi quei nomi, nel loro burocratico ordine alfabetico, e fu una delle cose più emozionanti della mia vita.
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...e m'hai fatto venire le lacrime!
Che bello :)
Una bellissima iniziativa per la quale vi congratulo. Le leggi razziali hanno lasciato segni bruttissimi i tutti i paesi nelle quali sono state applicate. In Italia la tragedia causata da queste leggi e molto piu grande se si pensa che tra i primi fascisti c'erano anche molti Italiani di religione Israelita (e i quali hanno risentito il colpo molto duramente). Basta, inoltre, pensare a tutti gli scienziati, i medici, il personale educazionale e gli intellettuali che o sono stati espulsi, o hanno dovuto emigrare per colpa di queste leggi (i "ragazzi" di via Panisperna non erano i soli).
Grazie dell'apprezzamento :)
Non c'e di che. Purtroppo si legge molto raramente di questi tentativi di "ricucire" le ferite del passato.