Blockchain e governance, connubio possibile?

in #ita7 years ago (edited)


(Foto di pixabay.com)

Ultimamente la buzzword blockchain viene -almeno dal Marketing- accompagnata a qualsiasi settore, tra questi anche a quello della pubblica amministrazione.
Recente è la notizia della firma di un accordo tra 22 paesi europei che ha suggelato la collaborazione per lo sviluppo di una blockchain utile all’interoperabilità e alla condivisione di dati tra le istituzioni.
Il patto segue il solco tracciato dalla Commissione Europea che già a Febbraio, pubblicando il report dell’Osservatorio Europeo per la blockchain, aveva dichiarato:

“la Blockchain ha un enorme potenziale, potrebbe migliorare i servizi in favore dei cittadini”
(Mariya Gabriel, European commisioner for Digital Economy)

E’ possibile? Veramente la blockchain potrà sostenere la nascita di una governance digitale?

Per capirlo dovremmo fare un passo indietro e analizzare i problemi dei sistemi centralizzati, della Blockchain, approfondire le potenzialità dei sistemi distribuiti permissioned (DLT) e tratteggiare alcuni use cases.

E’ d’obbligo precisare che in computer science i DLT (Distributed Ledger Technology) sono il genus e la blockchain è una species. L’ultima è un sottoinsieme dei primi.

I sistemi centralizzati

Fino al 2009, una società che non aveva bisogno di terzi intermediari per garantire un rapporto tra parti, non era nemmeno lontanamente immaginabile.
Il nostro sistema sociale necessita di terze parti, intese come figure che colmano l’assenza di fiducia tra due o più controparti. È proprio per la mancanza di fiducia che gli individui si rimettono ad un unico potere centrale che per la società è lo Stato sovrano e per l’economia la Banca Centrale.

Il nesso tra la mancanza di fiducia e il sistema centrale è chiarissimo se spiegato da Hobbes:

“Io autorizzo e cedo il mio diritto di governare me stesso a quest'uomo o a questa assemblea di uomini, a questa condizione, che tu gli ceda il tuo diritto, e autorizzi tutte le sue azioni in maniera simile. Detto ciò la moltitudine così unita in una persona viene chiamata Stato, in latino Civitas”
(Leviathan, la seconda parte "of Commonwealt", capitolo 17)

I sistemi centrali di fatto nascono per sopperire al problema della fiducia tra controparti, purtroppo però l’accentramento del potere in capo ad un unico soggetto, secondo i logici della teoria dei giochi, provoca molte inefficienze.

Le criticità dei sistemi centralizzati si possono riassumere nei concetti seguenti:

Single Point-of-Failure
• Mancanza di interoperabilità
Ridondanza
• Mancanza di flessibilità

Single Point-of-Failure

Con questa locuzione si indica l’enorme vulnerabilità dei sistemi centralizzati, che in quanto polarizzati forniscono una singola superficie d’attacco. Inizialmente potrebbe sembrare la scelta migliore rispetto alla presenza di più superfici d’attacco ma… non è così. Infatti, catalizzando tutto il potere su una singola parte, si rischia di produrre l’effetto definito in gergo “vaso di miele”. Tutti gli agenti malevoli cercheranno di attaccare il singolo sistema centrale che concentra il valore in un solo punto. Basterebbe un singolo attacca a buon fine per far crollare l’intero sistema.

Mancanza di interoperabilità

Un'altra inefficienza evidenziata all’interno dei sistemi centralizzati è la mancanza di interoperabilità tra le istituzioni in cui gli stessi si ramificano. Infatti i sistemi centralizzati, per esistere e per essere sicuri, hanno bisogno di infrastrutture chiuse. Questo, oltre ad essere in palese contrasto con i trend sociali contemporanei, sacrifica inevitabilmente l’interoperabilità delle infrastrutture e causa la lentezza delle operazioni in cui sono coinvolte più parti.

Ridondanza

Questa inefficienza è frutto della chiusura dei sistemi e della mancanza di interoperabilità. Ogni sistema chiuso deve tenere traccia di propri dati che magari sono registrati in un altro sistema chiuso. La sicurezza dei dati ha un costo molto elevato e nel caso di asimmetrie di registrazione si potrebbe esporre la struttura a rischi sistemici che decreterebbero il crollo della stessa. Ciò non potrebbero accadere se venissero utilizzati sistemi distribuiti.

Mancanza di flessibilità

La difficoltà di adattamento ad un cambio di paradigma è proprio dei sistemi chiusi e centralizzati poiché difficilmente riescono ad assorbire i cambiamenti che implicherebbero modifiche sistemiche difficili da porre in essere.

I ricercatori, assumendo queste inevitabili inefficienze, hanno provato a teorizzare sistemi decentralizzati di governance. Purtroppo, dopo profonde ricerche si sono resi conto dell’inapplicabilità della normale blockchain permissionless alle infrastrutture sociali. Questo perché, nonostante quanto sostenuto da alcuni blockchain adovcates, la catena di blocchi è costosa, lenta e non efficiente. Questo il prezzo da pagare per la sicurezza. Vogliamo un sistema sicuro che non necessita dell’intervento di terze parti? Paghiamo. È solo una questione di un banale trade-off: meno costa meno è sicuro.
Infatti la blockchain per esistere ed essere tutelata da situazioni di attacco ha bisogno di un incentivo economico, qualcuno che spenda risorse in termini di capitali e di energia elettrica per garantire la sicurezza dei dati (Proof-of-Work) –il qualcuno in gergo si chiama miner (NdR).
Dopo aver colto l’inefficienza della blockchain permisionless, gli studiosi hanno virato sulle blockchain permissioned –tecnologie informatiche teorizzate almeno 20 anni fa - che rimangono un sistema distribuito (DLT), ma che non sono pubbliche e aperte a tutti come la prima.
Le blockchain permissioned si basano su regole di consenso che identificano come validatori alcuni nodi predefiniti. Alcuni definiscono questo consenso come Proof-of-Authority. In questi tipi di sistemi il registro rimane distribuito, ma solo le entità designate sono in grado di validare e accedere ai dati registrati (es. Ripple).

Certo è che le tecnologie distribuite possono comunque essere considerate un punto di svolta per le istituzioni amministrative che, tramite una distribuzione dei dati e del potere, potrebbero alleggerire i pesi delle attuali inefficienze intrinseche ai sistemi centralizzati.

Blockchain e e-governance

Assodato che l’implementazione delle blockchain pubbliche nelle infrastrutture statali è impossibile poiché il concetto stesso di blockchain permisionless elimina la necessita di uno stato, passiamo ad esaminare i casi d’uso delle blockchain permissioned all’interno della pubblica amministrazione.

Quando parliamo in generale di governance digitale è inevitabile fare riferimento a realtà sociali differenti e meno radicate di quelle del blocco occidentale europeo.
Infatti, approfondendo il tema dell’e-governance ci si accorge facilmente che gli stati più avanzati hanno in comune caratteristiche come la giovinezza sia anagrafica che statale.
E’ lampante come questa spinta tecnologica provenga da realtà molto liberali, da città-stato come Dubai o Singapore, da stati con sistemi centralizzati instabili e mai radicati come la Sierra Leone e il Venezuela e infine da paesi con una forte propensione alla tecnologia come quelli del blocco baltico i.e. Estonia.

Estonia

A detta del governo estone (https://e-estonia.com/wp-content/uploads/faq-a4-v02-blockchain.pdf), il dipartimento di ricerca del paese baltico lavora su sistemi distribuiti già prima della pubblicazione del famoso paper di Satoshi Nakamoto Bitcoin: P2P electronic cash sistem. Questo paradosso è esattamente dovuto all’asimmetria concettuale già citata che confonde la blockchain (per antonomasia permisionless) con i normali DLT, il vero oggetto delle ricerche estoni.
L’Estonia ha già implementato la tecnologia crittografica in diversi settori definendola come una “digital defend dust” nel concreto uno scudo per i dati digitali.

La tecnologia sviluppata, chiamata Estonian KSI Blockchain, ha trovato spazio in tutte le amministrazioni che utilizzano registri di dati, quindi:

• Registri sanitari
• Registri digitali per le multe
• Registri delle camere di commercio
• e-Banking
• Registri giudiziari
• e-IDentity

Come possiamo notare, queste tecnologie trovano perfetta applicazione nella tutela e messa in sicurezza dei dati. Grazie alla crittografia si può tenere traccia di chi ha avuto accesso al dato e chi lo ha, eventualmente, modificato.

Dubai

Anche le città-stato più ricche come Singapore e Dubai non sono rimaste immuni dall’implementazione dei DLT. Dubai ha una fiorente storia di propensione all’innovazione. Già nel 1999 con l’attuazione di un piano volto a rivoluzionare tutto il sistema ICT, il “diamante degli Emirati Arabi” ha gettato le basi per la creazione di un solido ecosistema tech. Successivamente nel 2013 ha lanciato il progetto Dubai Smart City totalmente orientato verso lo sviluppo di soluzioni blockchain-based.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dagli organi di ricerca, l’adozione della blockchain si coniugherà secondo tre linee guida:

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(screenshot di https://sdgn.smartdubai.ae/pdf/blockchain-case-study.pdf)

  1. Efficienza di governance
  2. Creazione di un’industria Blockchain
  3. Leadership di settore

Esclusi gli obiettivi 2 e 3 che immaginiamo possano essere raggiunti facilmente tramite le enormi risorse dei soggetti in questione, l’efficienza della governance si avrà tramite l’utilizzo della tecnologia blockchain nei settori dell’energia, dell’economia dello sviluppo, trasporti, sicurezza, educazione… insomma, praticamente ovunque.
Dubai infatti, stando alle parole di Aisha Bin Bishir direttore generale di Smart Dubai:

“vuole diventare il primo Stato al mondo basato totalmente su blockchain entro il 2020”

Conclusioni

Alla luce delle analisi compiute possiamo tranquille affermare che i sistemi distribuiti e (anche se con molte difficoltà) la blockchain permisionless potranno trovare spazio all’interno del mondo amministrativo. Ciò nonostante, le conoscenze riguardo queste tecnologie sono ancora incomplete e appartengono per lo più a tecnici ed informatici che molto spesso non sono in grado di discernere sulle conseguenze politico-sociali di cambiamenti di paradigmi radicati da secoli. Anche secondo la dott.ssa Marcella Atzori, blockchain advisor per la Commissione Europea, la blockchain potrebbe spiegare i suoi effetti decentralizzanti in maniera positiva; però prima di proseguire nell’adozione, la politica dovrebbe indagarne gli effetti sociali. La dottoressa Atzori ha evidenziato il rischio che la decentralizzazione, accompagnata da correnti individualiste estreme, possa minare la stabilità dei nostri sistemi amministrativi. A mio parere questo rischio endemico si potrebbe presentare solo nel caso di un’adozione di bc permisionless che, notoriamente sostenuta da matrici anarcocapitaliste, perseguirebbe una reale decentralizzazione. In caso contrario, ovvero di un’adozione di bc permissioned i nodi validanti all’interno della rete rimarrebbero le istituzioni.
In definitiva non è banale sottolineare il frettoloso tempismo di alcuni progetti come la costosa e deleteria pseudo-votazione su blockchain provata dalla Sierra Leone. Attualmente tutto l’ecosistema in questione è molto giovane ed ha un futuro incerto, di conseguenza sarebbe più giusto sviluppare soluzioni per creare un’infrastruttura più solida rispetto ad ideare progetti e use cases su fondamenta incerte.

Gabriele Sabbatini

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