Castagna si stava riprendendo a vista d'occhio.
Nel tardo pomeriggio, davanti a una zuppa di fagioli, riferì quanto accaduto al Sacro Altopiano davanti a qualcosa di vagamente simile a un tribunale. Lui e Dráin avevano preso posto ai capi opposti del tavolo del salone, mentre gli altri sedevano da ambo i lati scambiandosi occhiate torve e mormorii inafferrabili.
I processi dei Nani erano più rilassanti, pensò. Era permesso accomodarsi, mangiare e persino fumare; c'era più tempo per ragionare e dosare ogni parola con cura. Dráin non formulava vere e proprie accuse, bensì semplici domande alle quali Castagna, dal canto suo, non intendeva sottrarsi. Il signore di Monte Spettro sembrava sinceramente interessato ad ascoltare e indagare, piuttosto che a giudicare, la qual cosa lo tranquillizzò molto, inducendolo a rivelargli ogni minimo dettaglio della sua disavventura.
Dopo che ebbe avuto tutte le risposte, Dráin trasse un profondo respiro e annuì: «Mi dispiace per come si sono messe le cose. Sembri un bravo ragazzo, tutto sommato, e non riesco a trovare una sola ragione per cui dovresti mentirmi. Sono propenso a credere che tu stia dicendo la verità, per quanto il tuo sia un racconto decisamente fuori dal comune.»
Castagna mise i gomiti sul tavolo e si prese la testa tra le mani: «Mi sento strano. Molto strano. Da uno a dieci? Come minimo un otto...»
«Strano per via dei fagioli, intendi dire?»
«No, la zuppa era ottima. Il fatto è che tutto quello in cui credevo... be', è come se non fosse mai esistito. La giustizia, l'onore, gli Dei e tutto il resto. Non posso credere che mi abbiano mentito di comune accordo per tutto questo tempo! Sta succedendo qualcosa alla mia gente, signor Dráin, qualcosa di sinistro. Non è lo stesso popolo dei nostri racconti, non è la gente che mi è stato sempre insegnato ad amare. Sono ottusi, pavidi e subdoli, e non c'è davvero di che andarne fieri. È possibile che qualcuno ci abbia scagliato addosso una maledizione o qualcosa del genere?»
A quelle parole la combriccola diede segni di perplessità.
«Mi duole dovertene informare», disse Dráin, «ma la tua maledizione si chiama realtà. Sei nato in tempo di pace, ed è in momenti del genere che la tua razza tende a mostrare i suoi lati peggiori. I racconti che hai sentito non sono fandonie, ma omettono la parte meno incoraggiante: quella in cui cominciate regolarmente a tradirvi e scannarvi a vicenda, dopo esservi coperti di gloria affrontando i vostri nemici. Sembra proprio che abbiate bisogno di qualche grave minaccia per superare le vostre divergenze e comportarvi da fratelli quali siete, altrimenti mandate sempre tutto a rotoli. È sempre stato così. Come abbiano fatto gli Uomini a conquistare il mondo, per quanto mi riguarda, rimarrà sempre un grande mistero.»
Castagna scosse più volte la testa. Non riusciva a capacitarsene.
«Pensaci», lo incalzò Dráin, «l'hai detto tu stesso: "Mi è stato sempre insegnato". È proprio a questo che servono le storie, giovanotto: educare le persone. È naturale che il mondo in cui viviamo sia sempre un po' diverso da quello dei racconti, dal momento che questi non servono a presentare le cose per come sono in realtà, ma per come si vorrebbe che fossero. Non sentirai mai un racconto che cominci con "C'era una volta un popolo di chiassosi voltagabbana gelosi gli uni degli altri..." perché non è così che si incoraggiano le persone a rigare dritto. Ci vuole sempre un pizzico di...»
Le parole gli morirono in gola.
Lupo era apparso improvvisamente sulla soglia del grande salone.
«L'hanno portata a Villa Herumold», esclamò trascinandosi per qualche metro in direzione di Dráin; poi cadde in ginocchio.
«Bréma e i suoi la tengono sotto chiave. Non posso farcela da solo.»
Per la prima volta, Castagna colse in lui segni di debolezza tipicamente umani: aveva l'aria esausta, la voce affranta e una mano premuta sulla spalla, che aveva ripreso a sanguinare copiosamente dopo l'incontro con le guardie incaricate di sorvegliarlo.
«Sei stato al villaggio?!», domandò incredulo.
Lupo non rispose, limitandosi a sollevare lo sguardo verso di lui. A Castagna sembrò tanto un sì. Nel giro di un paio di giorni o poco più, il cacciatore aveva percorso per ben due volte il tragitto da monte a valle e viceversa, una delle quali con uomo svenuto sul groppone, e una spalla ferita per giunta.
Castagna si meravigliò che fosse ancora in vita.
«Ti scongiuro, mio signore, devi aiutarmi. Aiutami a liberare Ursula e farò tutto quello che vuoi. Qualunque cosa.»
Lupo non era stramazzato al suolo, si rese conto Castagna: si era prostrato ai piedi di Dráin.
Perché mai aveva preso così a cuore la causa di Ursula? Poteva forse essersene innamorato?
«Non mi risulta che tu sia nella posizione di dirmi cosa devo o non devo fare, verme», lo apostrofò Dráin; «così ti chiamerò, fino a quando non ti deciderai ad alzarti in piedi e a guardarmi dritto negli occhi.»
Lupo obbedì; allora Dráin scese dal suo scranno e andò a sputargli in faccia.
«Cinque morti, per la barba del Fabbro! Ci hai reso complici di un massacro. Ti abbiamo ospitato, nutrito e insegnato tutto ciò che sappiamo. È così che intendi ripagarci, razza di traditore schifoso?! Ti rendi conto che per uscirne pulito dovrei portare la tua testa al Lord dell'Altopiano?»
Castagna si schiarì rumorosamente la voce. «No, in verità non dovresti.»
Con una lentezza esasperante, Lupo si voltò a guardarlo: «Stanne fuori», sillabò. «Tieni chiusa quella dannata bocca, per una volta, o giuro che ti strangolo qui, adesso, davanti a tutti. Ti ammazzo, maledizione.»
«Hai finito di minacciarmi, idiota.»
Con gran sorpresa dei presenti, anche Castagna si alzò in piedi.
«Non ero morto né condannato, quando l'idiota del villaggio mi ha scambiato per mia cugina», disse con voce gelida. «Dovevo solo sopravvivere a quell'odiosa gogna, poi avrei potuto riorganizzarmi e cercare di sistemare le cose. Tu sei l'idiota che me l'ha impedito. Per colpa tua sono un fuggiasco, e sono semplicemente rovinato. Non posso più tornare indietro, o mi faranno di peggio: riesci a comprenderlo, idiota? Tutto quello che posso fare è spaccare la faccia all'idiota che mi ha messo in questa situazione, visto che ce l'ho proprio qui davanti. Sarai anche un bravo tiratore, ma qui c'è un contadino ben nutrito e infuriato quanto basta. Idiota.»
Castagna fece un passo in sua direzione.
Dopo anni di lavoro nei campi aveva completamente scordato come sferrare un pugno o un fendente; in compenso, aveva braccia instancabili e mani forti come tenaglie.
Ora non aveva più nulla da perdere, e si sentiva nuovamente invincibile.
«Quasi dimenticavo, idiota: hai ronzato troppo attorno a Ursula, per i miei gusti.»
Spiazzato da quell'impeto di orgoglio, Lupo sembrò guardarlo sotto una luce nuova. Non reagì, né si oppose quando i nani si affrettarono a separarli.
«Nessuno ammazza nessuno senza il mio esplicito consenso», disse Dráin, «non lo ripeterò un'altra volta. Vi dichiaro entrambi miei prigionieri, mentre penso a come sbaraz...»
«Non ho ancora finito di parlare», lo interruppe Castagna. «Le decisioni spettano sempre e solo a te, mio signore: ti chiedo solo di prenderle dopo che avrò ultimato il mio resoconto, dal momento che sei stato tu a volermi interrogare.»
Dráin strinse i pugni e lo guardò in cagnesco: «Allora parla in fretta, umano. La mia pazienza è agli sgoccioli.»
Castagna guardò Lupo trascinarsi ansimando fino a un angolo della sala, dove si lasciò finalmente cadere, ormai allo stremo delle forze. Rabba e Nabba lo seguirono preoccupati.
«Bisogna spiegarvi tutto?», sbottò Dráin. «Aiutatelo con quella ferita, forza! Voglio che sia come nuovo per quando mi occuperò personalmente di lui.»
Castagna prese un bel respiro e attese, fino a quando Dráin non ricominciò a fissarlo.
«Sarò breve: potrebbe essermi scappata qualche parola di troppo durante il processo. A parte questo, non è stato commesso alcun reato. Lupo non ha violato alcuna legge, di conseguenza tu e i tuoi non siete complici di nulla. Siamo tutti innocenti... più o meno.»
Gli sembrò che Dráin fosse sul punto di sbranarlo. Vide le sue nocche sbiancare e le narici dilatarsi a dismisura, mentre una rabbia ferina covava in fondo al suo sguardo, che non aveva più niente di umano. Nonostante la bassa statura e l'insolito timbro della voce, sapeva essere molto minaccioso.
«Così per tutto questo tempo non hai fatto che mentire?», sibilò. «È questo che mi stai dicendo?»
«Nossignore», lo corresse Castagna, sforzandosi di mantenere la calma. «Sono stato onesto, e altrettanto onestamente ti dico: "Il signore che non sottostà alla Legge non ha alcuna autorità". La Legge degli Uomini dice esattamente così, e si dà il caso che io l'abbia studiata. È cominciato tutto da un processo che non era un processo: una farsa in cui un'unica persona fungeva da testimone, accusatore e fabbricante di prove, mentre i suoi tirapiedi controllavano che nessuno osasse contraddirlo. Assecondando tutto ciò il Lord dell'Altopiano ha violato la legge per primo: questo fa di lui un usurpatore, e di tutto ciò che ne è conseguito un legittimo atto di ribellione. Una delle particolarità di questa legge è che essa va applicata universalmente, capisci? Anche i feudatari sono obbligati a seguirla.»
«Un momento, un momento.» Dráin agitò confusamente le mani: «Tu avresti studiato? Da quando in qua i figli dei contadini studiano?»
«È un periodo della mia vita che non amo rammentare, ma poiché me lo domandi...» Castagna sospirò. «Non è un segreto che detesto il mio lavoro. Non l'ho mai sopportato. Mio padre non ha mai voluto che mi arruolassi, ma alcuni anni fa mia madre riuscì a convincerlo che ero un tipo sveglio, e forse sarei riuscito a diventare un Bibliotecario del Re. Così mi mandarono dai sapienti di Città Dorata, dove mi presi le mie prime sbornie e importunai una quantità di ragazze. Da uno a dieci? Non oltre il quattro, lo ammetto. Prima di farmi cacciare, tuttavia, riuscii a imparare l'alfabeto e a studiare alcuni libri. Storia e diritto, perlopiù. Ricordo bene l'articolo che ti ho citato, perché mi colpì moltissimo. Sulle prime anch'io stentavo a crederci.»
(Foto di Andreas Grunhofer da Pixabay)
Dráin esitò, e in quel momento una mano provvidenziale gli offrì una pipa fumante, il che attenuò di molto i suoi malumori.
«Be', vero o no ha perfettamente senso», disse Arnoldo. «Gemma Verde era un uomo coscienzioso, e conosceva molto bene le malefatte dei suoi antenati. Non sarebbe affatto sorprendente, se avesse escogitato qualche cavillo legale per cercare di impedire nuovi abusi di potere.»
Dráin lasciò partire un grande anello di fumo verso il soffitto.
«Questo significa che possiamo liberare Ursula», aggiunse Castagna. «Legalmente, intendo. Chiunque avrebbe il diritto di farlo.»
«Già, chiunque. Dunque perché proprio noi?» Dráin inarcò un sopracciglio. «Capisco che tu voglia aiutare questa tua cugina: è una bella cosa, dico sul serio. Sono anche piuttosto sollevato, da quando ho appreso che quella tra me e Lupo è una questione personale di cui non dovremo rendere conto a chicchessia. Dirò di più: mi sei persino simpatico. Interferire nelle vicende umane, tuttavia, non rientra nei miei piani. Siamo già stati coinvolti assai più del dovuto, e ti abbiamo dato un grosso aiuto, mi sembra. Se per voi spilungoni non è mai abbastanza, non è certo un mio problema: al tuo posto mi accontenterei.»
Castagna strabuzzò gli occhi, fingendo di cascare dalle nuvole: «Oh, ma io non mi riferivo a un aiuto gratuito. La tua gente ha già fatto molto per me, e ve ne sarò eternamente grato! Pensavo più che altro a un lavoro.»
In un men che non si dica tutti lo circondarono incuriositi. Rabba e Nabba lasciarono momentaneamente Lupo ad agonizzare su un tappeto.
Castagna si impose con tutte le sue forze di non sorridere: era il momento che stava aspettando da quando era rimasto solo con Arnoldo, ed era esattamente come l'aveva immaginato. Non rimaneva che la mossa finale.
«Mi sembra di capire che non vi siete mossi troppo da quassù, ultimamente», esordì. «Ebbene, nemmeno io mi sono allontanato dal mio villaggio, ma si dà il caso che questo si trovi in prossimità della Grande Via, e non ho potuto fare a meno di notare che il traffico, negli ultimi mesi, è notevolmente diminuito. Le notizie, in compenso, non mancano mai: pare che i briganti delle colline abbiano rialzato la cresta, e questo spiega tanto la scarsità di viaggiatori quanto il cattivo andamento degli affari giù a valle. Non è tanto questione di raccolti, sapete. Sono i commerci a essere praticamente bloccati.»
«Va bene, va bene», borbottò Dráin, nuovamente spazientito. «Puoi arrivare al punto, per piacere?»
«Il punto è che siete seduti su una montagna di lavoro. I nobili non alzano un dito e i soldati si limitano a proteggere i nobili da non si sa cosa. C'è bisogno di scorte armate per poter continuare a commerciare oltreconfine, attraverso la Landa Centrale, ma l'offerta di questo genere di servizi è assai carente. Voi avete le armi e l'esperienza; vi manca solo un volto, un volto umano con cui presentarvi agli umani. Qualcuno che li conosca, che sappia contrattare secondo i loro termini. Qualcuno come me.»
Nel breve silenzio che seguì, tutti si voltarono verso Arnoldo.
«Non fate quelle facce, suvvia. Sono stato il più vago possibile, è solo che al ragazzo qui non sfugge niente.»
«Arnoldo mi ha solamente confidato che siete dei grandi guerrieri, al resto ho pensato io. Ora, se non vi dispiace, rivorrei indietro mia cugina: in cambio mi arruolerò gratuitamente fino a data da destinarsi. Darò una mano coi lavori di fatica, procurerò una montagna di clienti e rischierò la pelle al vostro fianco, se sarete così gentili da darmi due dritte su come usare una di quelle», disse indicando un'ascia bipenne appesa alla parete.
«La parlantina ce l'ha», disse Arnoldo, «e ha anche letto dei libri. A un buon mediatore non serve altro, secondo me.»
«Le armi sono pronte», annunciarono all'unisono Rabba e Nabba.
«Si potrebbe fare un tentativo», osservò Bráin, «cosa abbiamo da rimetterci? Mal che vada ci saremo tolti di dosso un po' di ruggine.»
«Già», gli fece eco Fráin, «non è rimasto molto altro da fare qui nei paraggi, o sbaglio?»
«Lo sapevo.» Dráin si mise a passeggiare nervosamente, con un'espressione che non prometteva niente di buono. «Non puoi fidarti degli umani. Finisce sempre così», borbottò tra sé e sé; «se qualcuno cerca di fregarti puoi anche accorgertene, ma se nemmeno quel qualcuno si rende conto che ti sta fregando... loro si fregano da soli, voglio dire, e normalmente trascinano sul fondo assieme a loro qualunque cosa nel raggio di diverse miglia. Non lo fanno neanche di proposito! Proprio non se ne rendono conto...»
Guadagnato il centro del salone, diresse lo sguardo al soffitto e spalancò disperatamente le braccia: «Il guaio è che sono sinceri! Con sincero entusiasmo ti approvano il progetto del secolo, poi cambiano sinceramente idea e ti ritrovi disoccupato. Prima si accordano su un pagamento e poi ritrattano; prima ti chiedono di dare da mangiare a una persona in difficoltà, e poi ti ritrovi coinvolto in una delle loro stupide faide. Qualcuno ha detto Morte agli Elfi? Io dico ridatemi gli Elfi, piuttosto. Loro almeno ce l'avevano scritto in fronte, che erano dei balordi.»
(Foto di Nadine Doerlé da Pixabay)
Castagna si era preparato ad affrontare qualunque tipo di obiezione. Solo, non ne ebbe il coraggio: Dráin lo guardò intensamente, mentre sbriciolava tra le dita la pipa ancora accesa.
Dal resto della tavolata giunse invece qualche timida protesta, ma il padrone di casa voltò loro le spalle e si chinò verso Lupo.
Sulla sua spalla, riconobbe tracce di un qualche maleodorante medicamento di fortuna che il giovane doveva aver messo insieme da solo, in un modo o nell'altro. L'impacco aveva ceduto quasi subito, e il pavimento stava già assorbendo sangue in quantità.
«Anche il tappeto di tua madre è andato, Arnoldo», notificò freddamente.
«Non importa. Mia madre ha sempre avuto gusti orribili in fatto di tappeti.»
Dráin appoggiò l'indice e il medio sulla ferita di Lupo e fece pressione. Dopo meno di due secondi il cacciatore si risvegliò ringhiando dal dolore; istintivamente, il braccio sano lasciò partire un cazzotto.
Dráin parò con facilità disarmante, quindi lo bloccò a terra piazzandogli lo stivale ferrato sul petto.
«Quel tale che ha catturato la tua amica. Dove hai detto che abita?»
(Continua...)
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