L'urlo di Lupo rimbombò nelle sale di pietra come il boato di un drago.
Barcollando in preda all'ansia, Castagna aveva già messo quattro nani tra lui e quel colosso selvaggio. Lupo superò Bráin con uno scatto degno del suo soprannome, poi spostò Fráin con una spallata così poderosa da far arretrare un bue.
Quando Rabba cercò istintivamente di placcarlo, allungò le mani sulle spalle del nano e spiccò un balzo tanto sgraziato quanto efficace, atterrando direttamente sul tavolo.
«Le porcellane!», esclamò Arnoldo.
I resti del festino volarono a schiantarsi in ogni direzione mentre Lupo rotolava sulla spalla; infine piantò un piede e un ginocchio contro il legno, afferrando con le mani il bordo del tavolo, e fece per saltare alla gola di Castagna.
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Fu in quel momento che Nabba riuscì ad afferrargli un lembo del farsetto di daino, strattonandolo del tanto che bastava a sbilanciarlo; l'attimo dopo, Rabba e Fráin si avventarono sulle sue gambe.
«Basta così!», strillò la vocina di Dráin. «Ora ascoltatemi tutti molto attentamente: se nessuno ha ancora visto un cartello che diceva CLOACA DEGLI UMANI davanti alla mia porta, è perché nessuno ha mai affisso un cartello del genere, dal momento che ci troviamo su una proprietà privata e si dà il caso che IO sia il privato proprietario. Ve lo giuro sulla barba del Fabbro: il prossimo che osa rompere anche solo un bicchiere, vince un calcio nel didietro che lo fa volare fino a Rivalunga!»
Nabba imprecò a denti stretti mentre si sforzava di trattenere la spalla di Lupo; Bráin, che nel frattempo aveva aggirato il tavolo, andò ad afferrare il braccio opposto e glielo torse.
«Una casa, di chiunque sia», proseguì Dráin, «non è un posto qualunque dove potervi scannare come vi pare e piace. Una casa è precisamente il luogo dove queste pazzie sono proibite, altrimenti non distingueremmo più "dentro casa" da "fuori casa" e alla fine sarebbe come non avercela più, una casa. Mi rendo conto che per degli spilungoni debosciati può rivelarsi un concetto alquanto ostico, ma fareste bene a ficcarvelo in quelle teste di legno in qualche modo, prima che mi arrabbi sul serio.»
«È Ursula», lamentò Castagna. «È mia cugina Ursula che hanno incolpato dell'assassinio, io stavo solamente provando a difenderla. Bréma e i suoi l'hanno portata via.»
A quelle parole, Lupo riuscì a sollevare il torace per guardarlo dritto negli occhi: «Ti ammazzo», ringhiò con la bava alla bocca, il braccio intrappolato che scricchiolava e il collo che pareva sul punto di esplodergli.
Dopo essersi arrampicato a sua volta sul tavolo, Arnoldo pose definitivamente fine alla disputa andando a sederglisi sulla schiena.
«Avevano almeno quattrocento anni», borbottò scocciato. «Porcellane originali dell'Est, produzione limitata. Tre prigionieri di guerra erano costate alla mia benedetta madre, stimatissima gentilnana!»
Quando le forze di Lupo si furono esaurite, lo risollevarono bruscamente e lo trascinarono fuori dal salone, tutti eccetto Dráin e Arnoldo.
Mentre quest'ultimo si apprestava sconsolato a raccogliere i cocci, Dráin mise i pugni sui fianchi e squadrò quanto restava di Castagna: il giovane aveva ricominciato a tossire e si era rannicchiato in un angolo, il volto sempre più pallido, le spalle curve come sotto un peso insostenibile.
«Mi dispiace. Io non...», cercò di spiegare.
«Risparmia il fiato, umano», tagliò corto Dráin. «Ho già sentito abbastanza idiozie per questa sera. Un po' d'aria fresca è quello che ci vuole, per quella testa calda del tuo amico. Tu puoi restare, invece, fino a quando non ti sarai rimesso in forze; mi sembra di capire che non sia tua la colpa di questo guazzabuglio, ma lo verificheremo meglio in seguito.»
Anche a distanza di decenni, quando le sue avventure si erano ormai concluse e l'inverno della sua vita giungeva al termine, Castagna avrebbe ricordato quella notte come la più agghiacciante in assoluto.
Avrebbe dormito in luoghi ben più scomodi della casa di Dráin, incontrato esseri di gran lunga più ostili e sofferto di malanni assai peggiori di un'infreddatura, ma mai e poi mai avrebbe più provato un simile senso di disperazione e impotenza.
Aveva trascorso l'intera giovinezza in un villaggio così misero da non avere neanche un nome, sognando di essere qualcun altro e fare qualcos'altro, per poi vedere il peggior malfattore del circondario portarsi via una delle due uniche persone di cui si fidasse davvero; all'altra, sua madre, non aveva nemmeno avuto il tempo di dare delle spiegazioni, o anche soltanto un ultimo saluto.
Aveva visto uomini onesti morire davanti ai suoi occhi, e probabilmente più di qualcuno gliene avrebbe dato la colpa, a meno che non fosse riuscito a convincere la sua gente a prendersela con Lupo, senza nessun testimone rimasto in vita: un'impresa vicina all'impossibile, che gli sarebbe comunque costata l'inimicizia dello spietato cacciatore solitario.
Uno che non andava troppo per il sottile, e che avrebbe potuto benissimo farlo fuori anche prima di riuscire a raggiungere il villaggio. Per un momento aveva creduto di capire il motivo del suo intervento, ma i panni del paladino degli innocenti non gli si addicevano affatto: doveva esserci dell'altro, qualcosa che sfuggiva completamente alla sua ragione.
Forse non avevano tutti i torti, giù al villaggio, quando mormoravano che Lupo era completamente impazzito da quando la sua amica era finita sotto un carro, ma Castagna non era più tanto sicuro che fossero in qualche modo migliori di lui.
Le persone assieme alle quali era cresciuto gli avevano voltato le spalle senza ritegno, alla prima occasione; la giustizia del mitico Popolo dei Cavalli, famoso in tutto il mondo per le sue gesta eroiche, si era espressa sotto forma di un vecchio signorotto ottuso e corrotto, e gli Dei che tanto erano stati invocati, pregati e omaggiati non avevano mosso un dito.
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Nel giro di tre giorni tutte le sue credenze, la sua vita, il suo futuro, gli erano scivolati via dalle dita come sabbia, senza che Castagna fosse riuscito a trattenere un solo granello di speranza.
Ogni cosa era perduta per sempre.
Come se non bastasse, non riusciva neanche a morire.
Pregò con tutte le sue forze che una polmonite, una frana o l'ascia di un nano inferocito ponessero fine alle sue sofferenze, ma quando anche l'ultima lacrima fu versata, ad attenderlo c'era solamente un sonno breve e agitatissimo.
Al suo risveglio, vide che un ruvido saio e degli improbabili mutandoni di lana bucherellati erano stati sistemati su una seggiola accanto al letto, assieme a quel che rimaneva dei suoi stivali.
Mentre si rivestiva, Arnoldo abbozzò un sorriso dalla soglia della stanza: «Non sono riuscito a trovarti della roba migliore, ma immagino non ti importerà più di tanto; in fondo voialtri spilungoni siete tutti uguali.»
Castagna restò interdetto per un brevissimo frangente, poi sospirò: «Hai ragione: non me ne importa più niente.»
«Bene, allora vedi di darti una mossa.»
Castagna non trovò nulla di meglio da fare che seguire Arnoldo.
Dopo una breve sosta per recarsi al bagno, il nano lo guidò fischiettando attraverso un corridoio parzialmente illuminato da alcune lanterne. La pietra era perfettamente squadrata, ma il pavimento sembrava pendere leggermente ora in salita, ora in discesa; quando Castagna aveva ormai perso il conto delle svolte, incontrarono una breve scalinata che saliva fino a quella che si rivelò essere una porta scorrevole.
A un tocco di Arnoldo, la lastra di roccia scivolò silenziosa e leggiadra come un drappo di seta, e un bagliore improvviso costrinse Castagna a coprirsi gli occhi, mentre un soffio d'aria fresca lo accarezzava dolcemente.
Il parapetto del balcone era così basso da fargli girare la testa; sotto di lui si spalancava un abisso vertiginoso, mentre davanti al suo sguardo giganteggiavano sterminate distese di un blu profondo e ipnotico.
Istintivamente, si mise seduto a terra.
Arnoldò aggrottò la fronte: «Scusa, non sapevo soffrissi di vertigini.»
«Non lo sapevo neanch'io, se è per questo. Se non altro, ho appena capito come suicidarmi in santa pace.»
«Ah, questo sarebbe davvero offensivo», lo rimproverò il nano. «Avremmo già potuto sbatterti fuori e lasciarti crepare di stenti in fondo a qualche dirupo, ma ce l'abbiamo messa tutta per rimetterti in sesto, e forse ci stiamo persino riuscendo. Non ti ritengo esattamente un nostro debitore - non ancora, perlomeno - ma vorrei che ti sforzassi di affezionarti un po' di più alla tua pellaccia, d'ora in avanti. Non ho nessuna intenzione di scoprire che le porcellane di mia madre sono andate in frantumi per niente.»
Castagna cercò di schiarirsi la voce, mentre gli occhi si riabituavano alla luce del mattino. «D'accordo», concesse, «mi hai convinto. Rimango in vita, per quel che può valere. Ora, però, spiegami che cosa sto guardando.»
Arnoldo esitò. «Dici sul serio?»
«Mai stato così serio. È meraviglioso, ma si può sapere che roba è?»
«Ah, beata gioventù», commentò Arnoldo, mettendosi a sedere accanto a lui. «Quello, caro il mio cucciolo d'uomo, è il Mare.»
Castagna osservò rapito l'immane specchio d'acqua dai riflessi perlacei, che ondeggiava placido sotto un cielo limpido; per la prima volta un vago odore di salsedine arrivò fino alle sue narici, mentre stormi d'uccelli cantavano in lontananza. La giornata era splendida.
«Quello è il fiume Neradice, le sorgenti sono proprio sotto di noi», spiegò Arnoldo, mentre estraeva dalla bisaccia della polentina dolce e una fiaschetta di vino di more. «Quelle a sud-ovest sono le Verdi Colline: semmai dovessi passarci, devi assolutamente provare le loro marmellate. Dietro ci sono le spiagge di Rivalunga, e quella torre in rovina è tutto quel che resta di Porto Elfo. Quell'isolotto bianco laggiù in fondo, invece, è Porto dei Cigni.»
Castagna non lo stette a sentire, poiché il mondo era di una tale bellezza che qualunque parola gli sembrava di troppo.
«Da uno a dieci?», si limitò a mormorare, «Sicuramente un bel nove. Potremmo anche arrivare al punteggio massimo, se solo avessimo ancora un po' di quelle foglie da fumare.»
«Abbi fede.»
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Dopo aver diviso la colazione, Arnoldo tirò fuori una vecchia pipa di legno.
«Solo per curiosità, dove sono andati tutti gli altri?», domandò Castagna, dopo che i primi anelli di fumo si furono librati nell'aria tiepida.
«Fráin e Bráin dormono spesso fino a tardi. Rabba e Nabba hanno una specie di officina, giù ai livelli inferiori. Sono capaci di restarsene per giorni interi ad affilare le armi, per il puro gusto di farlo. Dráin invece passa molto tempo da solo, girovagando qua e là.»
«E Lupo?»
«Che ne so. Sarà andato a combinarne qualcun'altra delle sue.»
«Sembra che vi conosciate da un po'...»
«Era ancora uno sbarbatello quando lo sorprendemmo a vagabondare sul versante nord, là dove crescono gli asparagi. Capimmo subito che non aveva più un posto dove andare: non siamo propriamente un'associazione benefica, ma non siamo neanche mostri senza cuore, se capisci cosa voglio dire. Dráin gli fece promettere che non avrebbe raccontato a nessuno della nostra esistenza, poi gli aprì le porte del suo rifugio e gli insegnò a cacciare. Da quel giorno va e viene a piacimento, e ci porta carne e pellame di tanto in tanto. Si potrebbe dire che abbiamo un umano per amico, anche se questa volta l'ha fatta veramente grossa. Tu sarai anche innocente, ma portandoti qui ha violato le leggi di un regno alleato, e ho la sensazione che qualcuno ci abbia anche lasciato le penne. Ora siamo una banda di criminali, tecnicamente parlando, e non sono sicuro che Dráin glielo perdonerà.»
Castagna si sforzò di riflettere, ma le foglie da pipa lo avevano già stordito; quando si trattava di Lupo, d'altronde, era come se gli mancasse sempre un passaggio fondamentale.
«Qualche idea sul perché abbia fatto ciò che ha fatto?», provò a informarsi.
«Un'idea ce l'avrei, ma ora non è proprio il caso di mettersi a fare congetture, credimi. Sarà meglio aspettare che lui e Dráin siano di ritorno.»
«Non credo di volerli aspettare: Lupo ha promesso di uccidermi.»
«Ti avrebbe già accoppato, se avesse voluto farlo. A quello scimunito piace sempre fare la voce grossa, ma se non gli hai fatto nulla di male non sarà lui a cominciare. Lo conosco.»
«Sarà.»
Castagna non ne era del tutto convinto; ora che la pipa aveva fatto effetto, la prospettiva di una freccia piantata nel cranio era diventata meno allettante.
Per farsi coraggio, bevve un ultimo sorso di vino di more. «Potresti almeno spiegarmi perché Dráin non voleva che al villaggio sapessimo di voi?», domandò dopo aver restituito la fiaschetta.
Arnoldo si irrigidì, scuotendo il capo appena appena, come a dirgli di lasciar perdere.
«Andiamo», lo esortò Castagna, «io ormai vi ho già scoperti, e se tutto va bene ho i giorni contati. Cosa ti costa dirmi almeno questo?»
Arnoldo si tolse della sporcizia dalle unghie, evitando il suo sguardo.
«Perché si vergogna.»
«Cosa?» Castagna lo guardò inebetito. «E di cosa mai dovrebbe vergognarsi un gentilnano, scusa?»
Arnoldo levò gli occhi al cielo e sospirò: «Della sua signoria. Da un punto di vista giuridico, Monte Spettro è una signoria e Dráin un nobile feudatario: il Re dei Nani e il Re dei Re sono le uniche due autorità superiori alla sua.»
«Per le poppe della Madre!», esclamò Castagna, «Devo ricordarmi di chiedergli una dedica autografata. Non capisco perché mai uno dovrebbe vergognarsi di essere la persona più importante nel raggio di svariate decine di miglia.»
«Per nessuna ragione, a meno che la sua non sia la signoria più piccola, povera e disgraziata di tutta la storia del popolo dei Nani. Un popolo che di secondo nome fa Orgoglio.»
(Continua...)
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