12. Fuorilegge (parte prima)

in #ita6 years ago (edited)

Castagna si sentiva invincibile.

Alcune lune addietro, altri mocciosi della sua età lo avevano deriso per il colore dei suoi capelli: ne aveva affrontati tre contemporaneamente, rispedendoli a casa con gli occhi neri e le labbra spaccate.
In quel momento aveva realizzato di essere forte.

Ursula, però, non voleva arrendersi. Rimessasi in piedi, soffiò via una ciocca bionda dal viso sporco e strinse la sua spada di legno nelle manine paffute. «Stavolta non mi avrai!», strillò agguerrita, «Sono la Dama dei Cavalli, colei che uccise il Re Stregone!»
Castagna sghignazzò. «E io sono Gemma Verde», ribatté spavaldo; «sono il Liberatore, primo dei Nuovi Re! Non vedo l'ora di sconfiggerti, femminuccia!»
Ursula non sopportava di essere chiamata così. Castagna lo sapeva bene: la vide fiondarsi in sua direzione e attese che caricasse un fendente con entrambe le mani, quindi scivolò agilmente sotto la guardia di lei.
Ci sapeva fare; cominciava a prenderci gusto. Volteggiò rapidamente apprestandosi a colpirla di roverso, ma all'ultimo momento la sua spada si bloccò.

Suo padre gliela strappò con tale veemenza da spellargli il palmo, dopodiché lo scaraventò sull'erba con un manrovescio. Ursula si precipitò in suo soccorso, ma l'uomo la spintonò con rabbia; il suo sguardo la paralizzò dal terrore.
Prima di poter reagire, Castagna fu sollevato bruscamente per il bavero e accolto da altri due ceffoni.
Tentò di opporsi con tutto se stesso, ma era come se braccia invisibili lo tenessero fermo; la sua forza sembrava svanita nel nulla. Sentì le membra pesare come incudini, aprì la bocca per urlare, ma non riuscì a emettere alcun suono.
«Un'altra di queste bravate e non uscirai mai più di casa, razza d'imbecille. È una promessa.»
Dopo uno sforzo sovrumano, Castagna riuscì soltanto a bisbigliare un «Perché?»
«Perché i contadini sopravvivono, mentre i soldati muoiono.»

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(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)

Sciocchezze.
I contadini potevano ammalarsi e andare incontro a tutta una serie di sciagure e incidenti. Castagna lo sapeva; anche suo padre lo sapeva, ma non voleva ammetterlo. Diceva di volerlo proteggere, ma a Castagna sembrava tanto un'ottima scusa per odiarlo, frustrarlo e castigarlo a piacimento.
Castagna non gli aveva fatto nulla di male, eppure non ricordava di aver mai ricevuto da lui una carezza, un saluto né un incoraggiamento. Per questo lo odiava a sua volta; odiava tutto di lui, anche l'aratro, il forcone e il bue. Odiava la sua vita e la sua fattoria, di un odio così viscerale e travolgente da farlo piangere.
Quando le lacrime cominciarono a rigargli il viso, cominciò a sbattere le palpebre.

Non ricordava dov'era.
Non era la prima volta, e probabilmente non sarebbe stata neanche l'ultima; sapeva che i ricordi sarebbero affiorati di lì a poco, doveva solamente restarsene disteso e non lasciarsi prendere dal panico. Poteva trattarsi di una brutta sbornia, pensò.
Puntualmente, infatti, la grande festa gli tornò alla mente con le sue canzonacce e i fiumi di birra scura; Castagna la rivisse con distacco, anche quando le grida di Ursula e il ghigno di Bréma ricominciarono a perseguitarlo. Persino l'umiliazione della gogna lo lasciò insensibile.
"Ho fama di essere un ribelle", si disse, "ma mi ribello sempre al momento sbagliato."
Era in quella fase del risveglio in cui si è ancora incapaci di provare emozioni; inoltre, si sentiva decisamente troppo debole per potersi infuriare con chicchessia. Un terribile cerchio alla testa gli strappò un lamento, e un irresistibile prurito alla gola lo fece tossire dolorosamente.

Scostò un lembo della pelle d'orso che lo ricopriva e si sollevò sui palmi.
La stanza di pietra era perfettamente quadrata; dal suo soffice giaciglio scorse i resti di un fuoco nel caminetto, e un riflesso blu che poteva somigliare al cielo attraverso l'unica feritoia.
«Lo so, lo so», disse Lupo, appollaiato su una sedia a dondolo con la sua fiaschetta di hengs; «ti devo un gran bel mucchio di spiegazioni, inutile girarci attorno.»
Castagna si rese conto di non sapere veramente dove fosse.
Si sforzò di scendere dal letto, ma la testa prese a vorticargli e un brivido improvviso lo costrinse nuovamente sotto la coperta; si accorse di essere nudo, ad eccezione di un paio di ruvidi calzoni di fustagno esageratamente larghi attorno ai fianchi, ma così corti da arrivargli a malapena alle ginocchia.
«Riesci a sentirmi?», domandò Lupo, accigliato; «dillo, se vuoi che chiami i soccorsi.»
«Perché?», bisbigliò ancora Castagna, la voce quasi del tutto inesistente, come in quel brutto sogno. Ora però doveva fare i conti con la realtà: si trovava in un luogo sconosciuto, allo stremo delle forze, alla mercé di un pazzo scatenato.
Forse suo padre non era poi così male, in fondo.

"Poteva andarti molto peggio", lo aveva redarguito un picchiere. Erano le ultime parole che riusciva a ricordare. Avrebbe voluto schiaffeggiarlo e ricoprirlo di insulti, ma poi lo rivide riverso nel fango, con la freccia che spuntava dal collo squarciato.
Fu allora, e solamente allora, che inorridì: forse il peggio doveva ancora arrivare.
«Cosa vuoi da me...», rantolò, dopo aver tossito sin quasi a vomitare.
Lupo si grattò la testa sudicia e tirò su col naso: «Oltre a evitarti una morte orribile, intendi dire? Be', niente
«Ma hai ammazzatto tutti!»
Lupo esitò e diresse lo sguardo altrove, come colto da un lieve imbarazzo. «Mi dispiace», ammise a bassa voce, «ma non c'era altro modo per portarti in salvo. E sia ringraziato quel dannato temporale, altrimenti non avrei avuto alcuna possibilità.»
Qualcosa non quadrava.

Erano morti almeno in cinque, solo per strapparlo alla gogna; uccisi da un uomo che non gli doveva nulla.
Castagna ebbe la netta sensazione che da qualche parte ci fosse un tassello mancante, ma non riuscì a formulare altre domande.

Sulla soglia, a braccia conserte, vi era l'essere più strano che avesse mai visto.

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(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)

«Così il cacasotto si è svegliato», commentò la creatura, con voce fanciullesca. Era più largo e robusto di un uomo, ma non arrivava al metro e mezzo di altezza; indossava stivali su misura, una cintura ingioiellata e uno spallaccio di cuoio borchiato sopra costose vesti gialle e arancio. I capelli biondi gli spiovevano sulle spalle, mentre un'immensa barba scendeva fino alle ginocchia, intrecciata in una miriade di elaborate acconciature.
«Ho le allucinazioni», mormorò Castagna, con gli occhi al soffitto.
L'essere rise di gusto: «Può darsi!», esclamò, «Oppure non hai mai visto un Nano in vita tua.»
Castagna si raccolse su un fianco e ricominciò a tossire violentemente. «Voglio morire», borbottò affranto.

Il nano rise nuovamente, rivolgendosi alle sue spalle: «Adoro l'espressione di questo tizio. Venite a vedere, ragazzi!»
Prima di riuscire a rendersene conto, Castagna si ritrovò circondato.
Altri due nani, simili al primo in tutto e per tutto, lo scrutavano dal lato sinistro del letto; alla sua destra vi era invece una coppia di nani dalle barbe scure e dai volti più anziani.
Ai piedi del letto, colui che lo aveva accolto sogghignava affiancato da un sesto nano: era di un palmo più alto degli altri, oltre che più snello. Aveva capelli grigi e bisunti, non troppo lunghi, una barba rada e un colorito malsano.
«Il mio nome è Dráin Piedipietra», annunciò orgogliosamente quello che aveva l'aria di essere il padrone di casa. «Questi sono i miei nobili fratelli Fráin e Bráin», proseguì, mentre i suoi compagni si inchinavano ad uno ad uno. «I cugini Rabba e Nabba, possa il Fabbro benedirli; e questo è Arnoldo», concluse, con un cenno verso il nano emaciato che sorrideva al suo fianco.
Arnoldo scrollò le spalle: «Cosa vuoi che ti dica? Mi piace distinguermi.»

«Come va la schiena?», volle sapere Dráin.
Castagna riprese faticosamente fiato e si massaggiò le tempie doloranti: «Non è quello il problema», protestò.
«Mmmh, molto bene», disse Dráin. «Ti abbiamo spalmato della crema a base di Fiordicaverna, mentre deliravi nel sonno. È l'unica pianta che cresce da queste parti, nel caso non lo sapessi. Un autentico toccasana: adesso ti prepareremo un bell'infuso, così potrai dire addio alla tua infreddatura.»
«Non basterà», disse Lupo, che aveva assistito senza fiatare a quel siparietto.
I nani confabularono tra loro in un idioma incomprensibile, infine Dráin annuì: «Forse Lupo ha ragione. Hai i polmoni troppo grandi per sturarteli con un tè caldo: ci serviranno anche dell'hengs e delle foglie da pipa.»
«Non vorrai dargli il colpo di grazia», obiettò Arnoldo. «È qui da un giorno, e chissà quando ha avuto l'ultimo pasto caldo. Non dovrebbe mettere qualcosa sotto i denti, prima di passare alle maniere forti?»

Dopo due ore e un paio di panini imbottiti, Castagna sedeva stupefatto davanti a un fuoco scoppiettante, avvolto nella pelle d'orso. Si trovava in un vasto salone, al centro del quale troneggiava un lungo tavolo di legno laccato. Asce da guerra e scudi dipinti erano appesi alle pareti a mo' di decorazioni.
La febbre era diventata sopportabile, e la tosse gli aveva finalmente concesso un po' di tregua.
Fráin e Bráin gli avevano insegnato a fumare una grossa pipa ad acqua in ceramica. In un primo momento aveva temuto che il suo petto stesse letteralmente andando a fuoco, ma dopo essersi asciugato le lacrime aveva iniziato a respirare più liberamente, e si era disinfettato la gola con qualche sorso di hengs.
Si sentiva leggero e sereno, nonostante tutto. La sua vita era rovinata per sempre, e i suoi genitori non sapevano nemmeno se fosse vivo o morto, ma non riusciva più a preoccuparsene: le foglie da pipa lo avevano sollevato da ogni angoscia, impedendogli tanto di rimpiangere il passato quanto di temere il futuro.
Esisteva soltanto il presente, un presente fatto di birra nera, alambicchi fumanti, filastrocche oscene e prosciutto caldo in crosta, ma soprattutto di scoperte incredibili.

Si trovavano nientemeno che a Monte Spettro, la vetta solitaria che dominava il Sacro Altopiano, così chiamata a causa degli spiriti malvagi che vi erano rimasti intrappolati per secoli e secoli.
Nelle vallate sottostanti si credeva che la montagna fosse ancora infestata, e nessuno o quasi osava avventurarvisi. Più di una volta, misteriose esalazioni di fumo erano state viste sollevarsi dai suoi speroni, alimentando le più macabre leggende, ma Castagna aveva appena saputo che si trattava dei comignoli della casa di Dráin, un rifugio scavato nella roccia grazie alla maestria del popolo dei Nani.
Dráin e i suoi erano venuti ad abitarvi ai tempi di Gemma Verde, dopo che il primo dei Nuovi Re aveva convinto le anime di Monte Spettro a combattere per lui, promettendo in cambio di liberarle dalla loro maledizione, scagliata da uno dei suoi antenati.
Da quel giorno, nonostante le dicerie, sulla montagna regnava la pace.

Nella dimora di Dráin non esistevano pozzi né ruscelli, poiché l'acqua fresca zampillava da rubinetti d'ottone; l'aria era sempre tiepida, e i pavimenti ricoperti da tappeti e pellicce di ogni foggia.
Non vi erano latrine, né cespugli dietro cui nascondersi. Quando Castagna aveva chiesto di poter liberare la vescica, lo avevano condotto in uno stanzino e fatto sedere su una specie di grossa tazza, che aveva scoperto essere assai comoda e rilassante; infine aveva tirato una leva, e un getto d'acqua proveniente da chissà dove aveva risciacquato il tutto.

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(Immagine CC0 Creative Commons by Pixabay)

Dopo aver usato un bagno per la prima volta in vita sua, si trascinò fino al tappeto su cui Lupo sedeva a gambe incrociate, masticando foglie da pipa con lo sguardo perduto tra le fiamme.
«Non mi hai ancora detto perché l'hai fatto», gli ricordò gentilmente.
Lupo lo guardò con la coda dell'occhio e lasciò passare qualche secondo. «Ti ho incrociato alla festa», mormorò poi, «spensierato e sorridente. Sapevo che eri innocente; inoltre, le guardie non mi sono mai piaciute. Ecco tutto.»
Qualcosa non tornava.
Castagna si appoggiò alla parete e si sforzò di riflettere, mentre Arnoldo deliziava i suoi chiassosi consimili con una sfilza di barzellette.
«Non voglio sminuire la tua impresa, amico», gli rispose, «ma non sono del tutto sicuro di cosa fosse meglio o peggio per me. Sarei anche potuto sopravvivere alla gogna, dopotutto, e avrei potuto rifarmi una vita in qualche modo. Difficile, ma non impossibile. Ora invece sono un fuggiasco: sono ufficialmente sopravvissuto, ma un bell'esilio non me lo toglie più nessuno. Inoltre, senza offesa, ma credo che anche quelle guardie fossero innocenti.»

Lupo si voltò a guardarlo. «Aspetta un momento: mi stai dicendo che credi sul serio che te la saresti cavata con qualche tortura? Chi te l'ha detta, questa stupidaggine? Forse te lo sei scordato, ma quegli idioti dei nostri compaesani pensano che tu abbia ucciso un uomo in un giorno sacro, in un luogo sacro. Cosa ti fa essere così sicuro che non ti avrebbero lasciato in pasto ai corvi, dopo averti impiccato?»
«Per tutti gli Dei. Non posso crederci...»
Castagna si rialzò lentamente. Cominciò a camminare per il salone senza una precisa direzione, scuotendo più volte la testa.
«Tutto a posto, giovanotto?», si informò subito Dráin. «A volte le pipe fanno strani scherzi, se non si è abituati, ma non è nulla di grave», lo avvertì.
Castagna si passò una mano tra i capelli, bianco in volto. I nani smisero di fare baldoria e si scambiarono occhiate perplesse.
«No-non è per la pipa, è che... oh cielo», balbettò Castagna, boccheggiante. «Da uno a dieci? Non so dire se sia un uno oppure un dieci. Proprio non saprei. Immagino dipenda dai punti di vista...»

Lupo iniziò a dare segni di impazienza. «Si può sapere che ti prende, genio?», sbottò, spalancando le braccia.
«Il letto era scomodo, forse? La cena non era di tuo gradimento? Sei completamente ubriaco, oppure avresti davvero preferito essere fatto a pezzi?»

Castagna lo fissava con la bocca spalancata, come se avesse appena visto un fantasma.

«Hai liberato la persona sbagliata.»

(Continua...)

Sort:  

Non amo questo genere in particolare, ma non posso fare a meno di leggere le tue opere! Come prima parte è decisamente corposa e pregna, complimenti. Cercherò di seguire la storia senza perdermi tra nani e fuggiaschi 😁

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La verità è che come genere letterario non piace neanche a me, ahahah! Forse è per questo che sono riuscito a catturare la tua attenzione.
Solo di Tolkien mi sono innamorato, gli altri autori fantasy mi hanno sempre lasciato indifferente, compreso il prolisso Martin. La mia ambientazione (intesa come località col loro background) è dichiaratamente presa dalle opere del mio amato Professore, cambiando praticamente soltanto i nomi propri; non perché volessi copiarlo, ma perché non sopportavo l'idea che si fosse conclusa sul più bello un'epopea che, a mio parere, avrebbe potuto ispirare altre dozzine di libri.
Ho voluto continuarla sì, ma di testa mia: i miei personaggi sono gente comune che di fantasy-medievale ha ben poco, idem per il mio stile di scrittura.
Un saluto e... grazie!

Ti dico solo che ho dovuto cercare Martin...In realtà Games of Throne mi piace molto (la serie), i libri non li ho letti.
Vabbé diciamo che sono un po' confusa a riguardo :)
A proposito di confusione...Ma perché stai numerando i post progressivamente? Fanno tutti parte dello stesso racconto?
Quest'ultima storia è legata a quella di Ingolf & Co.? La memoria non è una delle mie caratteristiche più performante ed inoltre confondo spesso personaggi, soprattutto se sono di sesso maschile, anche nella vita reale.

I post numerati sono capitoli dello stesso romanzo; i personaggi partono da luoghi e situazioni assai lontani e differenti, per questo le varie sottotrame sembrano ancora slegate. Di fatto, Ingolf & C. al momento non sanno nemmeno dell'esistenza di Castagna, Ursula etc. così come di Belthran, Numitor e i loro scazzi.
Sono uno scrittore professionista, ma in passato ho svolto lavori che con la narrativa non hanno nulla a che fare. Questo è il mio primo romanzo, perciò all'inizio mi sono sentito un po' insicuro, e non mi piaceva l'idea di chiudermi in una stanza e uscirne mesi dopo con un prodotto finito che la gente avrebbe potuto benissimo non filarsi manco di striscio. Non sapevo se poteva piacere oppure no; non mi andava nemmeno di partecipare a un concorso perché non sopporto più di dover per forza "sconfiggere" qualcuno o qualcosa.
Come se non bastasse, in Italia le case editrici aperte agli esordienti chiedono all'autore di finanziare interamente pubblicazione, distribuzione e promozione (parliamo di decine di migliaia di euro, che non ho), per poi cedere tutti i guadagni all'editore.
Così mi sono messo a bloggare, ponendomi come primo obiettivo quello di farmi conoscere almeno un pochino; anche perché, essendo il tipo di persona che tende a distrarsi e lasciare cose in sospeso, l'essermi esposto sul web mi aiuta a trovare un po' di continuità e a stringere i denti nei momenti in cui l'ispirazione latita. Se non ci avessi messo la faccia, temo che la tentazione di reinserire il romanzo nel cassetto alla prima difficoltà avrebbe potuto sopraffarmi. Così invece ci sono dentro fino al collo e non mi resta che continuare!
Anche secondo me è molto meglio la serie TV di Game of Thrones, con buona pace dei fans di Martins che in questo momento probabilmente mi staranno maledicendo... quell'uomo è riuscito a descrivere financo i bottoni delle giacche, le maniglie delle porte e i motivi dipinti sui servizi da tè, invece la serie televisiva la trovo molto rockeggiante.

Ho capito, grande! Allora non sono del tutto rincoglionita :)
No comment sulle possibilità di lavorare nel campo artistico culturale in Italia...
Condivido con te l'abitudine di iniziare cose e lasciarle a metà, ahimè.
Cosa più importante: si vede che sei uno scrittore professionista, sei molto bravo.

Grazie di cuore, troppo buona... Che la Forza sia con te! ;-)


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