Quando si parla di idee-forti, di quelle che lavorano sulla prospettiva il pensiero corre al neo segretario del Pd che tra i sei punti chiave inserisce il voto ai sedicenni. Naturalmente associato allo jus soli, perché se no come fai a incassare per il ’23 i voti dei nuovi cittadini adolescenti. E perché non darlo ai quattordicenni, ai decenni? Di Maio la dice per tutti: «Abbiamo fiducia nelle nuove generazioni!». Società liquida, politica liquida, proposte liquide. Il trionfo del pensiero debole. Anzi, effimero.
Ma limitarsi a contestare l’idea dell’abbassamento dell’età del voto è un esercizio perdente se si rimane al tema elettorale. Infatti, perché a sedici no a diciotto sì? Perché, diciamola tutta, non è che i diciottenni al momento brillino di grandi virtù civiche. Allora qui il discorso si fa più impegnativo e per forza di cose deve fare i conti con la domanda chiave: che cosa si intende per maturità.
Al maggiorenne la legge riconosce capacità di agire, la facoltà di un individuo di compiere atti che producono conseguenze giuridiche. Quindi il maggiorenne, che non sia interdetto, può acquistare o vendere beni patrimoniali, sposarsi, avviare ed esercitare un’attività imprenditoriale.
Soffermiamoci a ragionare sulla condizione giovanile nella nostra società. Tendenzialmente in essa l’età lavorativa tende a spostarsi in avanti. Tanto per cominciare, l’obbligo scolastico si conclude a sedici anni. Poi, nella stragrande maggioranza dei casi, chi non continua a studiare non è che passi subito al mondo del lavoro, specialmente nelle aree ad alto tasso di disoccupazione (come nel nostro Sud). Abbiamo quindi una gran massa di giovani e adolescenti che vive in una sorta di limbo. A costoro il potere istituzionale si guarda bene dal chiedere responsabilità. Anzi, proponiamogli lo sballo libero. Che dare in cambio? Un papà può esigere dai propri figli responsabilità solo a condizione che sia lui il primo un esempio di responsabilità.
Nelle nostre società i giovani, gli adolescenti poi, spesso ignorano che alla maggiore età corrisponda quella capacità di agire di cui prima. Lo ignorano perché indotti ampiamente a pensarla così da un “sistema” che ha bisogno di una larga “zona franca” di irresponsabilità, grazie alla quale spostare sempre più avanti la funzione stimolatrice del “desiderio”. Perché il desiderio è lo stimolo migliore per un consumo compulsivo. Consumo non solo di merci, ma anche, e forse soprattutto, di stili di vita.
Il fatto che ci troviamo in una società che non favorisce la responsabilizzazione non è purtroppo una mia intuizione, è la realtà delle cose a dirlo. I nostri giovani non sperimentano quasi ormai più situazioni di “sacrificio”, non vivono esperienze nelle quali mettersi alla prova senza che intervenga qualcuno deputato ad alleggerirgli la pressione, non sperimentano la punizione come conseguenza di comportamenti sbagliati, non vivono situazioni “disciplinari”, non hanno modo di mettersi alla prova attraverso riti di passaggio, la nostra “società senza padre” tende sostanzialmente a “proteggerli”. A mettergli continuamente dei “paraspigoli”. Non a caso si parla di infantilizzazione, condizione che purtroppo riguarda non solo i più giovani ma sempre più spesso gli individui di fasce d’età superiori.
Il punto non è quindi votare a 16 o a 18 anni. I ragazzini che nelle nostre città lavoravano a 12 anni 50 anni fa esprimevano una maturità che oggi neanche a pensarla. Chi fa lo splendido proponendo l’abbassamento dell’età di voto, come ha fatto ora Letta, ma altri lo hanno fatto prima, senza un ragionamento complessivo che prenda in carico la complessità della questione sociale sta facendo solo un’orrida operazione di marketing politico finalizzata all’individuazione del target su cui puntare per l’allargamento della propria quota di mercato (elettorale).
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