Erano le prime luci dell’alba quando il Nibbio Bianco arrivò al limitare del bosco, a circa un miglio dal passo montano conosciuto come la “Grande Fenditura”.
Perché esattamente di questo si trattava: a nord del villaggio di Tornwood prendeva posto una massiccia catena montuosa alta più di mille metri che, in quel preciso luogo, era stata divisa in due come dal preciso colpo di una mastodontica ascia.
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Secondo la leggenda, migliaia di anni prima Alestra, dea dell’astuzia, pose un indovinello a sua sorella Zenir, dea della furia; quest’ultima ragionò per anni ad una risposta, ma senza successo. Così Zenir dovette arrendersi; ammise la propria inferiorità e chiese alla sorella di svelarle l’arcano. Nessuno ricordava più quale fosse la domanda, né quale fu la risposta; ma la “Grande Fenditura” restò come simbolo a imperitura memoria di quali fossero le conseguenze della rabbia di una divinità.
Altri studiosi, un po’ più ardimentosi, pensavano che la Grande Fenditura fosse solo il risultato di un antico terremoto; ma le loro voci venivano velocemente messe a tacere dai sacerdoti di Zenir per evitare ulteriori spiacevoli disguidi.
La gola in certi punti era così stretta da permettere il passaggio di un solo carro alla volta; per questo l’esercito del conquistatore stava impiegando parecchio tempo a far passare le armi d’assedio. Solo una piccola parte dello sconfinato esercito aveva superato il passaggio e stava piantando le prime tende per l’accampamento. Il sole stava lentamente scendendo ed il tramonto tingeva la vallata di pennellate vermiglie.
Quellolì tirò fuori dal suo zaino un cannocchiale gnomico e cominciò a descrivere la scena che gli si parava davanti.
- Sono circa un centinaio di soldati. Stanno piazzando le tende ed accendendo i focolari per la notte.
Teclis stava discutendo con Sciacallo:
- Sono troppi per tentare un assalto diretto! Dovremmo cercare di aggirare l’accampamento ed infiltrarci nella notte.
Sciacallo scuoteva la testa.
- Non possiamo attendere oltre; ogni ora che lasciamo al nemico significa ingrossare le loro fila di centinaia di nuovi soldati. Dobbiamo agire, subito!
Quellolì singhiozzò, continuando a scrutare la scena con il cannocchiale.
- La torre di guardia è ancora in piedi, ma…
Lo gnomo si morse un labbro e passò il cannocchiale ad Aurora; dalla finestra più alta della torre, alcuni ogre stavano spingendo giù, uno dopo l’altro, i loro prigionieri: uomini feriti, soldati della milizia sconfitti, ma anche donne e bambini. Cadevano giù, uno dopo l’altro, schiantandosi a terra tra le risate di scherno dei goblin e degli orchi che godevano di quello spettacolo sanguinario.
Aurora consegnò indietro il cannocchiale e abbassò la visiera dell’elmo, cercando di mantenere la compostezza che un Cavaliere di Bellator dovrebbe sempre avere di fronte agli empi atti della malvagità.
Quellolì, tirando su col naso, vide comunque lo scintillio di una lacrima dietro la celata… a dimostrare che sotto l’armatura batteva comunque il cuore di una donna.
- Andiamo.
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Il primo goblin, messo a vedetta dell’accampamento sopra una bassa e rozza impalcatura costruita in legno, non fece neanche in tempo a voltarsi: una freccia gli trapasso con precisione chirurgica il collo.
Il secondo si voltò verso il bosco e fece in tempo a vedere i quattro cavalli che correvano al galoppo sfrenato in direzione della Fenditura: la tipica formazione a freccia usata dalla cavalleria per aprirsi un varco tra le orde nemiche, con Aurora in prima fila e la lancia in resta, ai suoi lati Sciacallo che incoccava una nuova freccia nell’arco e Teclis che aveva appena completato le parole del suo incantesimo: il goblin cadde in un arcano sonno comatoso.
Il terzo goblin, per quanto fosse sorpreso e spaventato, ebbe la lucidità di portare il corno alla bocca e soffiare con tutto il fiato che gli rimaneva in corpo, facendo rimbombare tra le pareti rocciose un grave e lamentoso segnale di pericolo. Poi la freccia di sciacallo lo raggiunse, facendolo stramazzare al suolo.
Quando l’eco del corno cessò, un silenzio spettrale scese sull'accampamento: le risate, le urla, il tintinnare dei boccali e lo sfregare della cote sulle spade cessò istantaneamente… per qualche breve istante, l’unico rumore che si poteva udire erano gli zoccoli dei cavalli di quattro avventurieri solitari che si preparavano a caricare un esercito. Poi un grido eruppe da uno dei soldati vestiti di nero.
- SIAMO SOTTO ATTACCO!
Il Nibbio Bianco approfittò della confusione per attraversare gran parte dell’accampamento, ma prima di raggiungere la gola dovettero attraversare almeno una ventina di avversari.
Sciacallo abbandonò l’arco e impugnò la sciabola, tenendo a bada gli assalitori che si avvicinavano al fianco sinistro e cercando di proteggere Quellolì, che cavalcava al centro della formazione, dalle frecce avversarie.
Sul fianco destro, Teclis sudava copiosamente; non era abituato a combattere a distanza così ravvicinata col suo bastone, ma gli incantesimi di protezione che aveva lanciato bastavano a deviare gran parte delle frecce ed alcuni dei colpi di spada più pericolosi.
Aurora, visiera abbassata, scudo e lancia sulla sua grande giumenta da guerra, era implacabile: chi non si spostava dalla sua traiettoria veniva travolto dalla sua cavalcatura o impalato sulla punta della sua lancia. Giunti quasi all'ingresso della gola, la sua arma si spezzò e la sacerdotessa fu costretta a sfoderare la spada e aprirsi un varco a suon di fendenti.
A pochi metri dall'imboccatura della gola, il Nibbio venne accolto da un intero plotone di goblin arcieri ed una gigantesca ballista pronta a scoccare il suo mortifero dardo.
A quella vista Aurora gridò:
- ADESSO!
Teclis e Sciacallo si staccarono lateralmente dalla formazione cercando riparo e Aurora fermò la sua cavalla ponendo lo scudo di fronte a sé; in quel momento spuntò Quellolì che cavalcava un piccolo pony ed aveva in mano un sacco aperto. Dall’imboccatura del contenitore, spuntava qualcosa di luminoso; come la luce di un cerino, il volo di una lucciola o, a veder bene, il veloce consumarsi di una miccia accesa.
Quellolì bloccò la sua corsa e sfruttò il momento per lanciare il suo sacco verso l’imboccatura della gola, verso gli arcieri e verso la ballista. Il sacco si aprì in volo, mostrando il suo contenuto: un barilotto grande quanto lo gnomo con una miccia giunta quasi alla fine della sua lunghezza.
Ad onor del vero, un oggetto così voluminoso non sarebbe potuto entrare all’interno di un sacco così piccolo; il sacco era infatti uno degli oggetti più preziosi del gruppo, una borsa capace di contenere molto più di quanto il suo volume facesse sospettare.
Ma non era questo il punto.
Il barile esplose con un boato enorme che distrusse la ballista e tutto il plotone di arcieri. Fece balzare all'indietro anche i soldati ancora presenti nella gola per almeno una quarantina di metri. Fece un buco nella stretta gola, che venne lentamente riempito da ciottoli, poi da pezzi di granito, poi da interi costoni di roccia viva che crollarono con la forza di una montagna sopra la legione malvagia, chiudendo per sempre la Grande Fenditura e provocando un massacro tra le fila nemiche.
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La forza dell’esplosione fece cadere da cavallo tutti i membri del Nibbio: in mezzo al polverone creatosi, Aurora cercò Sciacallo, Quellolì cercò Teclis, ed insieme cercarono di capire se il loro piano aveva funzionato.
Quando la polvere si posò, il Nibbio si ritrovò circondato da quella parte dell’esercito che aveva già superato la strettoia; erano in un vicolo cieco ed in inferiorità numerica almeno di 20 a uno.
I quattro del Nibbio si avvicinarono tra loro, schiena contro schiena e spalla contro spalla. Teclis era evidentemente terrorizzato, Sciacallo sogghignava con una luce di follia negli occhi, Quellolì sembrava non avere ben chiaro cosa stesse succedendo e si guardava attorno con un sorriso ebete in volto.
Aurora abbassò la visiera ed impugnò la spada.
- Vendete cara la pelle, Nibbio!
Improvvisamente le fila nemiche si aprirono e dal polverone che andava diradandosi uscì una voce cavernosa e ineluttabile, atona e terrificante, grave e micidiale.
L’unica cosa che il gruppo di eroi vide fu un’ombra gigantesca che per un attimo oscurò il cielo. Poi qualcosa calò dall’alto, qualcosa di enorme, nero e pesante, qualcosa di troppo grande per essere un’arma, ma che non aveva la forma di un essere vivente, né di un pugno né di qualsiasi cosa avessero mai visto prima.
Qualcosa calò dal cielo come un fulmine senza luce.
Poi, il nulla.
Non avete idea di chi siano gli avventurieri del Nibbio Bianco, cosa sia il Reame del Crepuscolo o del perché lo gnomo del gruppo si chiami "Quellolì"? Troverete (quasi) tutte le risposte nei precedenti capitoli delle Cronache sul mio blog:
Libro Primo:
Libro Secondo:
- Cap. 1: Nuovo mondo, Nuova avventura
- Cap. 2: Il Salvataggio dello Gnomo
- Cap. 3: Il Seguito della Leggenda
- Cap. 4: Una luce nell'Oscurità
- Cap. 5: Una Scala verso il Passato
- Cap. 6: Giustizia, atto I
Sono curiosissima di leggere il seguito!Finalmente torniamo a leggere le fantastiche avventure del Nibbio Bianco! E il nostro @gianluccio non si smentisce mai, scrittore provetto :)
Yeee la capo groupie del Nibbio 😊 con questo capitolo abbiamo superato la prima metà del secondo libro, vediamo fino a dove si riesce ad arrivare! Grazie 😘
Sempre dritti fino alla fine! Non ci mollare prima :P
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Hi, @gianluccio!
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