Con questo racconto partecipo al theneverendingcontest n° 9 S4-P2-I1 di @spi-storychain.
Mi ricordo bene come l'ho conosciuta.
Mi avevano parlato dell'inaugurazione di un locale nella mia città: avrebbero offerto da bere a chiunque fosse venuto quel venerdì sera.
Non avevo per niente voglia di uscire, ma ci andai lo stesso: a volte avere qualche amico che ti sprona non è poi così male.
Le mie armi per socializzare: una Tennent's e la mia parlantina.
Poi la vidi.
Passai tutta la serata a chiedermi di che diamine di colore avesse gli occhi e fu soltanto alla terza birra, durante la fine della serata, che ebbi il coraggio di andarle vicino e attaccare bottone.
La conversazione non fu da premi Nobel, ma le risate erano vere e sincere. E mi sentivo bene.
Sapevamo entrambi che non ci saremmo visti poi così spesso. Così Facebook diventò il mezzo preferito per parlare dei nostri interessi.
Fino a che non ebbi la brillante idea di chiederle il numero.
Sai, tante le volte avessi bisogno di chiamarti!
Era ben chiaro che volevo solo spostare la conversazione su WhatsApp.
Chattare con lei era la cosa che più mi faceva stare bene.
Dominava l'eccitazione di avere a che fare con una persona nuova, la curiosità di scoprire cosa pensasse di me e del mondo, il desiderio di conoscere ogni suo segreto.
E così mi ritrovavo alle due di notte, sdraiato a letto, convincendomi del fatto che saremmo dovuti andare a dormire, perché era tardi.
Ma la verità è che avrei passato tutta la notte a chattare con lei.
E lei anche.
Mi ricordo com'era stringerci le mani fredde, in macchina, prima di baciarci.
Mi ricordo di aver controllato il suo ultimo accesso su WhatsApp dopo pochi minuti che fosse uscita dalla macchina. E poi ancora.
Fino a che non compariva la scritta online.
E poi quello sta scrivendo... mentre iniziavo a sudare e a tremare.
Poi quel grazie per la splendida serata, che rilasciava dentro di me una soddisfazione indescrivibile.
Le settimane passavano e il tempo passato insieme aumentava.
Aumentavano le dita che scorrevano veloci sullo schermo del telefono.
Aumentavano le notifiche e le foto scattate.
Ti amo, mi disse.
Non ho capito che hai detto, risposi tra il calore delle coperte.
Ti amo.
Iniziammo a scordarci come ci chiamavamo veramente.
Avevamo dei nuovi nomi: quelli dettati dalla nostra dolcezza e dalla chimica spietata.
Il tempo passava e mi sentivo sempre più mescolato al suo mondo.
Le mie abitudini, in parte, iniziavano a cambiare: c'era lei.
Mi ricordo bene quando è partita per il Belgio per un anno e mezzo.
Ho sfiorato la sua pelle bianca pensando che fosse l'ultima volta, almeno per un po' di tempo.
Dopo che uscii dall'aeroporto controllai WhatsApp, per vedere il suo ultimo accesso.
Era online.
Sta scrivendo...
Mi spiace che sono andata via proprio ora, scrisse.
Vedrai che ci vedremo presto, scrissi.
Mi ricordo bene com'era quando andai a trovarla e la rividi dopo un mese. Non riconoscevo la sua voce e mi sembrava così piccola e indifesa tra le mie braccia.
La baciai e lei fece lo stesso, anche se trattenuta.
Avevamo poco tempo per stare insieme, quindi non guardavo mai WhatsApp.
Pensai che fosse così bello, seppur per poco, essere di nuovo insieme. Lei annuiva, quando glielo dicevo.
Quando ero al gate ad aspettare il mio volo, guardavo furiosamente WhatsApp, aspettando che rispondesse ai miei messaggi.
Chissà cosa sta facendo, pensavo.
Mi ricordo bene quando erano già diverse volte che andavo a trovarla e vidi che le cose stavano cambiando.
Piangeva dopo il culmine dell'amplesso.
Pensai come mai accadesse, ma non glielo feci mai pesare, ne la rimproverai.
Non guardavo mai WhatsApp, parlavamo molto, volevamo sviscerare il problema.
In questo momento non ti amo, rispose alla mia domanda forzata.
Vidi il precipizio.
Quando ero al gate dell'aeroporto cercavo di sforzarmi a non guardare la sua chat. Ma dopo pochi secondi ero fisso lí, sperando che quell'online diventasse un sta scrivendo.
Non accadde.
Mi ricordo bene com'era cadere nel precipizio.
Cercavo di aggraparmi ma mi ferivo sempre di più.
E nonostante le escoriazioni, andai a trovarla, più e più volte.
Vedersi dopo tanto tempo funziona, pensai mentre eravamo nudi tra le coperte, pochi minuti dopo il mio arrivo.
Non sta funzionando, mi disse lei il giorno dopo piangendo.
Iniziai a guardare WhatsApp, ma non la sua chat. Volevo distrarmi.
Facevo credere che lo facessi veramente ma non ci riuscivo, in realtà.
Ero sempre più assuefatto da lei e dal problema, a tal punto da volerlo risolvere ad ogni costo.
Mi ricordo com'era andare in vacanza in Sardegna insieme. Sembrava una boccata d'aria fresca da tutti gli impegni, un'occasione per rigenerarsi.
Ogni tanto WhatsApp lo guardavo, anche in sua presenza.
Provammo di nuovo: non funzionava.
Ero disperato.
Mi ricordo com'era quando mi lasciò.
Il buio in fondo al precipizio.
Feci finta di saper gestire quel mastodontico nodo alla gola che non mi faceva neanche mangiare.
Ero sempre su WhatsApp a guardare cosa faceva.
Poi vedo: online.
Terremoto cardiaco.
Tutto il mio residuo di energia mentale si concentra sul creare la perfetta preghiera per quel Dio che ha il potere di farle scrivere sulla mia dannata chat.
Non accadde.
Ultimo accesso.
Passavano i giorni e arrivavano i Sabato sera, io a casa e le notti passate sul letto, respirando la stessa aria delle ultime 24 ore.
WhatsApp, il mio tormento e la mia ragione di vita.
Erano le 4 di notte e lei era online mezz'ora prima.
Pensai a tutte le volte che la strinsi così forte sotto le coperte, a tutto il sudore e il sangue gettato, a tutte quelle volte che mi inebriavo del profumo dei suoi capelli e delle sue grida di piacere.
E pensai a quegli esatti momenti, traslati da lei senza pietà ad un'altra persona.
Online.
Ultimo accesso.
Ho raggiunto il fondo del precipizio.
Perlomeno c'è un bellissimo lago.
Immagine dell'autore.
Online.
Ultimo accesso.
Ansiogeno... Efficacissimo!
I racconti allegri e spensierati annoiano 😇
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Profondo. Realistico. Toccante.
Non aggiungo altro. Complimenti.
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Grazie, lusingato!
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