Il linguaggio è ciò che distingue gli esseri umani dagli animali. Gli animali comunicano direttamente, spontaneamente, tramite comportamenti, atteggiamenti, azioni e suoni connaturati alla loro specie. Il linguaggio umano è una convenzione, è un'invenzione esclusivamente umana e non diretta né spontanea tanto quanto lo è la scrittura, sono necessari anni perché il parlare e lo scrivere diventino qualcosa di spontaneo per un individuo, per la maggior parte degli individui non basta una vita intera e restano goffi e superficiali nel loro parlare e nel loro scrivere. Con il linguaggio gli esseri umani hanno potuto dare un nome a tutto, agli oggetti materiali e a quelli astratti, agli stati d'animo, alle azioni che un qualcosa può compiere (un soggetto) e a quelle che si possono compiere nei confronti di un qualcosa (un oggetto), e hanno potuto dare un nome alle relazioni fra le cose e le azioni. Senza un linguaggio sarebbe ogni volta necessario indicare l'oggetto a cui ci si riferisce e sarebbe necessario mostrare concretamente l'azione o la relazione del caso. Senza un linguaggio e in assenza dell'oggetto o della possibilità di mostrare l'azione o la relazione sarebbe necessario l'impiego di simulacri, di oggetti che rappresentino gli oggetti reali, riconoscibili da tutti o sicuramente conosciuti dall'interlocutore. Un simulacro deve essere riconducibile senza il minimo dubbio all'oggetto che rappresenta, deve essere una sua rappresentazione fedele. Ad esempio, per dire a qualcuno che il suo cane mi ha morso non posso usare il simulacro di un cane generico, dovrei indicare il suo cane, mimarne l'azione di mordere e mostrargli il morso. Con l'invenzione del linguaggio ogni cane ha un nome, ogni caratteristica di ogni cane ha un nome, ogni azione che ogni cane può compiere ha un nome, ogni relazione che ogni cane può avere con qualcos'altro o qualcun'altro ha un nome. Con il linguaggio posso dire al padrone del cane che il suo cane mi ha morso oppure che Max (il nome del suo cane) mi ha morso. Ma il linguaggio ha un limite. Posso dire qualcosa a qualcuno soltanto se quel qualcuno può ascoltarmi e se qual qualcuno condivide i nomi degli oggetti, delle azioni e delle relazioni, che uso io. Se il mio interlocutore è lontano e non posso parlargli il linguaggio soltanto diventa inservibile, dovrei utilizzare un simulacro del linguaggio da fargli pervenire, un simulacro del linguaggio a lui noto quanto i nomi del linguaggio stesso.
Ecco.
Il linguaggio scritto è il sistema di simulacri più avanzato sviluppato dall'uomo.
In sostanza il linguaggio, cioè l'insieme dei nomi dati a tutte le cose, e la scrittura, cioè una qualsiasi rappresentazione non verbale del linguaggio, sono degli strumenti.
Il linguaggio è soltanto uno strumento. Non può dire nulla che non abbia un nome conosciuto e condiviso nel suo significato da chi parla e da chi ascolta. Il linguaggio di per sé non aggiunge e non toglie niente, è soltanto un insieme di nomi e di simboli che rappresentano cose, individui, azioni e relazioni, un insieme che deve essere conosciuto e condiviso perché il linguaggio sia efficace.
Allora risulta evidente che ciò che distingue l'essere umano dagli animal non è il linguaggio in senso stretto ma il linguaggio come strumento, come attrezzo. Ciò che distingue dall'inizio gli esseri umani dagli altri animali è la capacità di utilizzare e ideare attrezzi, strumenti, e di ideare continuamente nuovi utilizzi diversi per strumenti ideati per altro.
Questo è l'essere umano. Un animale che si diverte con dei giocattoli, che inventa giocattoli e modi sempre diversi di giocarci.
Il dialogo. Due individui che non condividono gli stessi nomi o che danno agli stessi nomi significati anche soltanto leggermente diversi, non possono dialogare ma soltanto mentirsi. Il linguaggio è l'origine della menzogna come concetto concreto, come possibilità reale, come azione e relazione con un nome. Senza un linguaggio è impossibile mentire. Gli animali non mentono, non possono neppure comprendere il concetto di menzogna perché senza un linguaggio tale concetto non esiste.
Quindi non ha senso sviluppare e strutturare un linguaggio sulla base del principio di vero e di falso. In un qualsiasi linguaggio (comprese la logica e la matematica) non ha senso esprimere il falso perché esprimere il falso è di fatto non esprimere nulla. Un linguaggi può esprimere soltanto il vero o esprimere come vero ciò che è falso, ma non può mai esprimere il falso, è chi utilizza il linguaggio, l'attrezzo, a esprimere il vero o il falso, qualunque linguaggio utilizzi.
Perciò la filosofia del linguaggio e l'analisi logica del linguaggio sono soltanto osservazioni empiriche della mente, dell'istinto e dell'emotività, degli individui, non hanno senso e sono inutili.
Le passioni e le emozioni (che sono due dimensioni assolutamente diverse anche se ancora oggi vengono da tutti considerate manifestazioni delle attività chimica ed elettrica del cervello, ma in futuro capiranno la loro idiozia!) non possono essere rappresentate da un nome in nessun linguaggio immaginato da una mente convinta di esistere esclusivamente nelle tre dimensioni e nel tempo, non esiste nessun possibile linguaggio in grado di quantificarle.
Dato che un individuo non è e non sarà mai soltanto una macchina organica con intrappolata al suo interno una mente razionale. Dato che un individuo è una struttura univoca di spazio e tempo che si muove nello spazio e nel tempo e che ciò che è dipende più dalla sua forma, e dalla forma unica di ogni parte che lo compone, e dal suo movimento relativo rispetto a tutto il resto, e dai movimenti relativi di tutte le parti che lo compongono, e che soltanto l'insieme di tutto questo lo rende ciò che è e lo rende vivo.
Il linguaggio, come attrezzo, raggiunge la sua massima efficacia soltanto se totalmente condiviso nei suoi nomi e nei loro significati, ma non può esserci mai certezza della totale condivisione perché il linguaggio è soltanto e sempre un attrezzo utilizzato fra individui che non entra mai negli individui stessi, i nomi e i significati di un individuo sono soltanto dell'individuo e a volte gli sono noti e altre no, a volte due individui credono di parlare della stessa cosa mentre in realtà stanno parlando di due cose differenti ma per le quali utilizzano lo stesso nome e le stesse relazioni. Ad esempio il nome amicizia viene comunemente usato per rappresentare il legame reciprocamente utile sul piano pratico, ma la parola amicizia rappresenta anche il fra due individui che si apprezzano soltanto per le persone che sono senza alcuna finalità o utilità pratica che non sia lo star bene insieme. Il nome è lo stesso ma la relazione è profondamente diversa, tanto diversa da dare quasi sempre origine a fraintendimenti e delusioni dolorose, tanto diversa da far credere che il linguaggio che impiega lo stesso nome (amicizia) per due relazioni assolutamente diverse è un linguaggio sbagliato e fuorviante, mentre in realtà ad essere sbagliati e fuorvianti sono gli individui che utilizzano quel linguaggio senza avere la cura di accertarsi che i nomi e i loro significati siano davvero condivisi.
Ma come giungere ad una concreta condivisione di nomi e significati?
Semplificando il linguaggio?
Definendo un'infinità di nomi diversi per ogni possibile sfumatura differente di ogni oggetto, azione e relazione?
Stabilendo regole precise e inderogabili di utilizzo e stabilendo significati certi e assolutamente esaustivi?
No.
Non esisterà mai un linguaggio verbale e scritto i cui nomi e significati saranno condivisi da tutti per il semplice fatto che non esisteranno mai due individui identici, perché in realtà potenzialmente ogni individuo può essere l'inizio di una nuova specie con capacità percettive e sensoriali più acute o diverse oppure anche in grado di percepire aspetti o piani della realtà (dimensioni) finora invisibili.
Un corpo, un cervello, non sono solamente un corpo con i suoi organi e un cervello come tutti gli altri, ogni corpo e ogni cervello sono strutture uniche di spazio e tempo che occupano esclusivamente uno spazio e un tempo precisi nei loro movimenti relativi, la loro struttura specifica e i loro movimenti relativi rispetto a tutto il resto e la struttura di tutte le loro parti e i movimenti relativi di queste parti al loro interno determinano maggiormente le loro qualità, capacità e caratteristiche, che non le singole finalità specifiche di ogni singola parte.
Albert Einstein diceva a fisici quantistici che la particella è un punto di arrivo e non un punto di partenza.
La realtà non è fatta di particelle e onde che si muovono attraverso lo spazio e il tempo, la realtà è fatta soltanto di spazio e tempo e le particelle e le onde sono soltanto forme peculiari dello spazio e del tempo, forme che sembrano avere una finalità unica e specifica soltanto ad uno sguardo puramente empirico, uno sguardo che si preoccupa soltanto del come, ma che invece hanno tale finalità soltanto come causa iniziale di molteplici effetti indeterminabili a priori proprio perché non esistono mai isolate da tutto il resto (la realtà non esiste mai in laboratorio, in un ambiente ideale isolata, il metodo scientifico è ancora e soltanto primitiva divinazione arricchita da un linguaggio razionale e da un linguaggio matematico, ma tratta sempre e soltanto del come e non potrà mai occuparsi del perché, quindi non è vero sapere ma è soltanto sapere dell'apparenza ).
Quindi il linguaggio?
Il dialogo?
Postulando che di nessun linguaggio i nomi e i significati potranno essere mai condivisi compiutamente si potrebbe giungere alla conclusione che sarà sempre impossibile parlare veramente, dialogare, e che sarà sempre inutile dire ciò che non si può dire. Si potrebbe credere che i nomi e significati sono sempre diversi da una comunità all'altra, da un gruppo all'altro e che sono sempre veri soltanto se utilizzati all'interno dello stesso gruppo. Si potrebbe credere che i nomi e i significati di ogni linguaggio dipendano soltanto dall'uso che se ne fa nel gruppo che lo utilizza.
Specializzazione del linguaggio! Non so perché, ma ora, mentre scrivo, ho pensato al mito biblico della torre di Babele. La specializzazione dei linguaggi separa e isola le comunità, i gruppi e gli individui, eppure il linguaggio è stato creato per unire. Uno dei tanti paradossi che l'animale uomo deve affrontare e risolvere per lasciare alle sue spalle la condizione di animale e potersi finalmente e giustamente definire evoluto.
Il dialogo oggi è tecnicamente impossibile ma è necessario. Che senso ha provare l'impossibilità della condivisione dei nomi e dei significati di ogni linguaggio e basta? Io stesso sto utilizzando un linguaggio per scrivere che ogni linguaggio è imperfetto e origine di menzogne e fraintendimenti!
La risposta è semplice.
Il dialogo!
Non è un paradosso, è un cambiamento radicale del punto di vista. Accertato che il linguaggio in sé non può mai garantire l'efficacia del dialogo né la sincerità dei dialoganti (che non dimentichiamolo, sono la vera causa della menzogna consapevole o meno), il rinunciare al dialogo ci riporterebbe alla comunicazione diretta e spontanea degli animali, senza più simulacri ma soltanto gesti e suoni espliciti. Una soluzione inaccettabile, è vero che il linguaggio partorendo di fatto la socialità ha partorito anche una quantità incredibile di problemi dei più svariati tipi (psicologia individuale e di massa, superstizioni e religioni, ideologie, discriminazione, intolleranza, pratiche varie. Nascono tutte dagli stessi nomi usati per cose diverse o da significati diversi dati agli stessi nomi!), ma è anche vero che rinunciare a qualcosa di buono soltanto per liberarsi da qualcosa di cattivo è da vigliacchi, perciò rinunciare al dialogo e quindi al linguaggio è impensabile.
Cambiamo l'utilizzo che facciamo del linguaggio, integriamolo tenendo conto delle difficoltà oggettive e smettendo di cercare linguaggi perfetti o regole grammaticali o semantiche che stabiliscano senza ombra di dubbio quali proposizioni sono sempre vere e quali sempre false.
Iniziamo ad utilizzare il linguaggio per conoscerci, per dirci chi siamo e quali nomi diamo alle cose e con quali significati, e non per dire qualcosa a qualcuno senza sapere se condivide gli stessi nomi e gli stessi significati.
Parliamo di noi all'altro e ascoltiamo dall'altro chi è invece di deciderlo da soli o magari non deciderlo neppure perché ci interessa soltanto dirgli quello che gli vogliamo dire e non ce ne frega nulla di chi sia.
Intenzione.
Finalità.
Il dialogo raggiunge la sua massima efficacia soltanto fra individui che condividono gli stessi nomi e gli stessi significati.
Il solo modo per arrivare a tale condivisione o per appurarne l'esistenza non può essere che il dialogare stesso, il dialogo finalizzato solamente al confronto del linguaggio, il dialogare per conoscersi come individui prima del dialogo per trasmettere e ricevere informazioni.
Intimità.
Si chiama intimità la conoscenza molto più che superficiale fra due individui che si raggiunge soltanto con il dialogo non finalizzato a scopi pratici ma esclusivamente alla conoscenza reciproca e dei propri nomi e significati.
Soltanto una volta raggiunto un certo grado di intimità il dialogo sarà efficace.
Dialogo, un solo nome per due azioni apparentemente uguali ma rese chiaramente diverse dalle differenti intenzioni dalle quali hanno origine.
Dialogare per conoscere e per conoscere il linguaggio dell'altro e poi dialogare per dire con la consapevolezza di essere più efficaci nel farlo e del fatto che l'altro sa precisamente di cosa stiamo parlando e che può comprendere quel che diciamo proprio come intendiamo dirlo.
In effetti un linguaggio privato esiste, ma a distinguerlo da ogni altro linguaggio non sono la logica, la grammatica, la sintassi, e neppure il suo isomorfismo con la realtà del mondo e neppure l'uso che ne viene fatto in una comunità o gruppo specifici. La sola differenza sta nell'intenzione, nello scopo del dialogare. L'intenzione è un'azione interiore che trasforma la nostra relazione con il nostro linguaggio, trasforma noi e trasforma il linguaggio e ci permette di utilizzare ciò che non possiamo utilizzare per poterlo poi utilizzare efficacemente. Soltanto un'intenzione diversa.