Portate pazienza, perché non capisco ma mi adeguo. Ogni volta che succede resto interdetta.
Sto parlando delle emoticons, quelle simpatiche faccine (e non solo) che nelle comunicazioni veloci di tutti i giorni vengono usate e abusate non da ragazzini ma da cinquantenni e oltre.
Per carità, chi mi conosce sa che sono un’anti social: non sono su Facebook (e sì, non me ne vergogno; anzi per me è quasi un vanto e lo considero un lusso dato che ho sempre pensato che fosse un Cavallo di Troia e purtroppo ricevo continue conferme da chi ci sta); così come non sono su tanti altri social perché non mi piace apparire e quindi, forse, ho meno occasioni per utilizzarle.
Se aprite le vostre chat di watsapp, osserverete che spesso e volentieri questi simboletti vengono intercalati a frasi in sostituzione di aggettivi, pensieri o stati d’animo.
Ora… ci sta l’utilizzo simpatico e scherzoso: io per prima le trovo geniali. Ma che a una domanda si risponda con un’emoticons – ormai d’abitudine – proprio no.
E stiamo parlando di uomini e donne, affermati nella loro professione, con un ruolo ben preciso nella società. Quasi si sentisse la necessità di tornare bambini. Quasi non si avesse la voglia (si tratta quindi di pigrizia mentale?) di scrivere quelle tre parole in più. Un po’ come accadeva qualche tempo fa che, sempre i soliti professionisti, scrivessero il “che” con “Ke” non per vezzo ma per un tema di risparmio. Roba che mi ha sempre fatto rabbrividire; un po’ come il termine “apericena”. Ma quanto tempo si risparmia nel togliere una “acca”?!? Bah, continuo a non capire.
Quasi anche che lo scrivente non avesse ben chiaro il messaggio/stato d’animo che vuole trasmettere e
volesse lasciare a libera interpretazione quella particolare faccina.
Sì, perché alcune di queste sono molto molto chiare ma molte altre, no. E sfido chiunque di voi nell’identificare in ciascuna di esse il singolo significato. Posto che se ne scorriamo l’elenco che i vari smartphone e tablet mettono a disposizione, si potrebbe parlare di un vero e proprio alfabeto. Detto questo, mi viene intuitivo e spontaneo immaginare, ma è sempre più realtà, che si stia tornando indietro. Ma indietro di tanto, addirittura ai tempi dei geroglifici.
Quanti di voi cinquantenni o giù di lì, ricordano lo “Smile”, la proto emoticon? Ai tempi del liceo ne avevamo i diari pieni. Oggi, declinata nelle sue mille sfumature, ne abbiamo piene le chat, ma anche i commenti su FB, su Skype e le mail.
C’è sempre il fenomeno che pensa di “alleggerire” una comunicazione di lavoro con una strizzatina d’occhio e che si ingegna nel trovare una lettera che rimandi a quella particolare faccina (le tastiere del PC ne sono ancora sprovviste).
E’ già nata la net- etiquette, una sorta di etichetta (leggi buone maniere) dei comportamenti relativi alla dimensione web.
Purtroppo anche qui dilaga l’ignoranza. Chi di voi è al corrente, per es., che un visualizzato senza risposta è un vaffa.. in silenzioso? Credo molto pochi…
Insomma, secondo me si sta un filino esagerando.
Qualcuno mi definisce “antica”. Forse. Ma quanto è più bello, diretto e personale, anziché comunicare per settimane attraverso watsapp o FB, alzare il telefono e fare gli auguri a voce senza mandare i simboletti della torta, fiori e cuoricini!
Quanto è più carino chiamare una persona amica per accertarsi del suo stato di salute, senza intuirlo dalle foto postate su FB!
Se questo significa essere “antica”, allora ne sono orgogliosa. Pochi rapporti interpersonali, ma autentici. Poche parole ma di cuore e DETTE col cuore. Un abbraccio figurato ma con voce commossa.
Queste cose bisogna capirle…altrimenti fa lo stesso.
E poi, già si fa una grande fatica a intendersi parlando la stessa lingua: dobbiamo anche interpretare le faccine per intuire come stia una nostra amica o collega o il nostro compagno? No. Mi rifiuto!
Mi sorge spontanea una questione: ma se un giornalista scrivesse anche solo le prime due righe di un pezzo utilizzando le emoticons? 😉