Il seguente articolo tratta le vicende che portarono alla costruzione della Sagrada Familia. Tutto ciò che in quegli anni, negli anni dell'Art Nouveau, gravitava in ambito principalmente catalano. E' una sintesi degli argomenti che vengono trattati in una parte del libro di J.J. Lauherta "Antoni Gaudì". Le citazioni presenti sono quindi tratte dallo stesso libro mentre, le immagini, se non diversamente specificato, sono di mia proprietà. E' molto interessante anche per chi non è troppo addentro; ad esempio se qualcuno non avesse capito per quale ragione alla Catalogna preme così tanto l'indipendenza potrà trovare molte informazioni di seguito. L'articolo è stato diviso in 4 parti perchè troppo lungo.
Immagine di libero utilizzo >>>>> - J. Maragall
Tornando all’articolo del 1905, “Montserrat”, il luogo non viene visto come una montagna che vuole diventare tempio, non esiste questa distinzione, le due entità sono la stessa, sono ugualmente eterni, il tempo viene abolito e la terra, dalla quale tali entità nascono, diventa essa stessa immortale. Quindi è evidente il fatto che in questo tempio c’è qualcosa di più di un sentimento religioso, il luogo diventa un mito tangibile nel quale lo spirito del popolo si identifica.
Maragall vede quindi l’esistenza e la creazione di luoghi simili come una priorità per la società di allora. In un suo articolo, “Una gràcia de caritat!...”, dedicato al tempio della Sagrada Familia egli afferma:
Il giorno in cui i lavori della Sagrada Familia rimangano paralizzati per mancanza di mezzi, sarà per Barcellona e per tutta la Catalogna un giorno più funesto di quello in cui scoppiasse una bomba in una strada del centro, o di quello in cui si chiudessero cento fabbriche.
Tali riferimenti non sono casuali, infatti in quegli anni Barcellona è uno dei centri europei principali del terrorismo anarchico, è una città quindi che sta vivendo un cattivo periodo, straziata anche dalle lotte di classe che culmineranno nella Semana Tragica del 1909. Ulteriormente esplicativa sarà l’analisi di un quadro “La Carrega” di Ramon Casas e una fotografia del 1909, dove le analogie fra il pensiero di Maragall e le vicende sociali del tempo si evidenziano maggiormente. Nel dipinto tutto in un certo senso appare falso, l’intento del pittore era quello di mettere in rapporto tale opera con lo sciopero generale del 1902. La celebre fotografia invece raffigura un panorama della città dal Montjuic, dalla quale si innalzano colonne di fumo; siamo nella già citata Semana Tragica. E’ evidente come le due raffigurazioni siano due aspetti della stessa cosa,
della scomparsa della città come tale, della città dei cittadini alla quale si riferiva Maragall.
Immagine di libero utilizzo >>>>> - La Carrega
Gli avvenimenti della Semana Tragica cambiarono radicalmente la visione maragalliana, tuttavia egli, che appena prima aveva iniziato a scrivere la “Oda nova a Barcelona”, non ritoccò quello che già aveva steso ma si limitò a continuare il discorso comunque con toni diversi. Maragall riconosce in questo disordine la città e riesce a oltrepassare il turbamento dovuto a ciò che aveva trasformato la città come uno spettacolo violento (la fotografia), al tempo stesso egli si allontana da una rappresentazione storica e consolatrice (il dipinto di Casas).
Essenzialmente si diedero due diverse tesi per spiegare la Semana Tragica; da un lato si diceva che i disordini furono causati da forestieri pagati, da un altro lato, più in generale, si diceva che era soltanto la classica manifestazione di contrapposizione fra il bene e il male. Si possono intuire le matrici di tali tesi, rispettivamente governo e chiesa. Maragall discostandosi da ambedue riconosce, nei suoi scritti, in quella città disordinata la città "unica". Egli ritiene che bisogni offrire un’impresa alla città, nella quale confluiscano tutte le energie rivelate dai disordini di quei giorni, insomma cercava di far capire che la montagna già menzionata doveva sorgere al centro della città, per riunire il tutto. Il poeta fa sorgere quindi il tempio in mezzo alla vita, non per avvicinare lo spirito del popolo al cielo ma per avvicinarlo alla terra. L’opera “Oda nova a Barcelona” di tali argomenti tratta:
Sul lato del Levante, mistico esempio, come un fiore gigante fiorisce un tempio attonito di essere sorto qui in mezzo ad un popolo così rozzo e ribelle… Ma in mezzo alla miseria, alla rabbia ed al fumo il tempio comunque si eleva e prospera aspettando dei fedeli che verranno.
Maragall dedicò alla Sagrada Familia quattro articoli il primo dei quali, dal titolo “El templo que nace” venne scritto nel 1900, in esso sono riportate varie idee delle quali si è già parlato. In alcuni versi egli individua il tempo caratteristico della fioritura del tempio, come il poeta la definisce.
Sembra che vada innalzandosi da se, come l’albero che cresce con lenta maestà,
e ancora:
per un albero che ha dato rifugio a molte generazioni di uccelli che vi sono passati, e che dovrà ancora veder passare molte generazioni di uomini…
Questo riferimento allo scorrere del tempo è molto importante perché non si riferisce soltanto al progredire dei lavori ma si tratta del tempo eterno e infinito. E’ chiaro come Maragall intenda quindi la Sagrada Familia come un’opera interminabile, analogamente alle leggende contenute nelle sue “Visions”, dove i protagonisti appaiono come uomini dall’anima errante che non potranno mai morire. Quindi il tempio per essere mito e simbolo non si dovrà mai compiere, arrivare ad una conclusione significherebbe raggiungere una morte.
Nell’articolo del 1905 “Una gracia de caritat”, Maragall diventa più esplicito nella sua identificazione e
la Sagrada Familia si è ora convertita in una magica apparizione circondata da segni della provvidenza.
In questo scritto emergono elementi nuovi; la figura dell’architetto secondo ciò che è stato già detto scompare, nel senso che il tempio sembra quasi edificarsi da solo, qui invece Maragall fa riferimento ad Antoni Gaudi. Questa sembrerebbe una contraddizione ma non è cosi. Il poeta non si riferisce all’artista individualista della "art pour l’art", bensì egli lo intende come un architetto geniale che in poche parole è il sunto dell’anima del suo popolo.
Alla moltitudine come sfondo del quadro storico di Casas, alla moltitudine come presenza invisibile, intuita dalla presenza delle colonne di fumo della Semana Tragica, Maragall contrappone la mistica unione del poeta visionario, dell’architetto demiurgo con il popolo rinsavito, nel tempo lungo e interminabile, nel tempo senza temporalità della costruzione del tempio.
Nel terzo articolo del 1906 “En la Sagrada Familia” egli indica come un potere redentore quello che alberga nel tempio; amplia il discorso per il quale la montagna era una grande rovina di un tempio e dice che la rovina implica una rinascita per cui una distruzione implica una costruzione.
Nel suo ultimo articolo dal titolo significativo “Fuera del tempo” sembra che il poeta stia cercando nuove immagini per quello che vuole esprimere; il grande albero, diventa un enorme animale che giace sepolto e si sta risvegliando. Insiste sulla figura dell’architetto e sul suo misterioso potere di convertire in forma l’anima del popolo e dice anche che questo luogo di speranza è un luogo di scambio fra iniziati che attendono l’arrivo del popolo. Per questo loro si sentono soli. Egli si rattrista anche pensando al fatto che tale grandiosa opera non verrà mai vista ultimata, per il motivo che, in quanto tale, non è nata per essere conclusa, come si è detto più sopra. Questa nuova tristezza quindi implica un cambiamento o meglio un ampliamento del significato di tempo secondo Maragall; non si tratta soltanto del tempo del tempio come interminabile, si parla ora di un altro tempo fuori dal tempo al quale si sovrappone la sinistra ombra della morte, per questo motivo si fa avanti al posto del mito una nostalgia per il tempo “soggettivo” degli uomini.
Coloro che vedranno con i loro occhi il giorno in cui risplenda il meraviglioso tempio… potranno invidiare la visione di questi quattro uomini che, nei secoli passati, avranno pensato malinconicamente e nello stesso posto, ma sotto il cielo notturno, senza il riparo di una qualsiasi volta.
La solitudine di cui abbiamo parlato prima, che sente Maragall è un sentimento anacronistico pervaso da una malinconia. Lo stesso Gaudi va incluso in esso ed è un anacronismo che però è stato dettato dalle circostanze; l’essere anacronistico è l’ultimo ruolo del visionario, il sacrificio a cui è costretto colui che dovrà compiere la missione, come un profeta che accetta di assumersi le colpe della società intera.